Quando si tratta di Mario Balotelli si rischia di ricadere nel banale. Il pericolo è quello di affrontare tematiche scontate o di ripetere concetti già sentiti. Spero proprio di non cadere in questo tranello perché ho intenzione di “sfruttare” l’argomento legandolo a un discorso molto più ampio. tento sempre di vedere il lato positivo in ogni vicenda, così come lo cerco in tutti gli individui perché sono pienamente convinto che agiscano con motivazioni ben precise e, quando rimangono all’interno della legalità, devono essere comprese. Si possono apprezzare o meno. Non sono condivise dalla generalità ma, come cantano Benji & Fede feat. Annalisa, “succede tutto per una ragione”. E’ praticamente impossibile riuscire a giudicare la situazione dall’esterno soprattutto nell’ottica di una visione soggettiva della realtà. Non mi sono mai lasciato andare a interpretazioni del pensiero di una determinata persona o a valutazioni sulla sua natura intrinseca e non lo farò sicuramente ora.

Dalla vicenda legata a Balotelli, però, si potrebbe davvero apprendere un insegnamento importante per l’intera società. Il rapporto tra Mario e il calcio è una favola magnifica che si allontana sempre più da un lieto fine ormai troppo difficilmente raggiungibile. Servirebbe un miracolo e la Divina Provvidenza Manzoniana potrebbe giungere in soccorso. Anzi, forse è già arrivata. Il bomber, infatti, lascerà comunque un segno indelebile in questo mondo. A volte Dio o il Fato paiono adoperare le loro stupende creazioni per lanciare un messaggio. Queste creature diventano così strumenti fondamentali per ognuno di noi. Qualsiasi essere umano ha una missione e certamente vanta degli aspetti positivi. Occorre trovarli e valorizzarli.

La vita di SuperMario è un romanzo sin dalla nascita avvenuta nel quartiere palermitano di Borgo Nuovo il 12 agosto 1990. I suoi genitori sono ghanesi e, per esigenze lavorative, si trasferiscono nel bresciano quando il fanciullo è ancora in fasce. L’accento tipicamente lombardo dell’uomo è palese riferimento al legame con quella terra. Fin da piccolo, il giocatore deve affrontare alcune peripezie come determinati interventi utili a evitargli qualche problema fisico. La famiglia d’origine non ha le condizioni necessarie per sostenere una simile situazione ed è costretta a chiedere l’affido del figlio. Così Mario Barwah diventa Mario Balotelli. Non mi permetterei mai di entrare nelle mente del ragazzo, ma di solito una vicenda analoga non è troppo semplice da gestire. Il calciatore può acquisire la cittadinanza italiana soltanto al compimento del 18esimo anno d’età ed è proprio in quel periodo che promette fedeltà alla Nostra Nazionale. Per il resto, la sua storia extracalcistica è anche troppo nota. Mi riferisco al rapporto con la showgirl Raffaella Fico, alla nascita della Figlia Pia e alle varie “balotellate” che sono talmente famose da essere indicate con un nuovo sostantivo. Così Mario è giunto alla soglia dei 30 anni vivendo un’esistenza che nell’immaginario comune può essere definita complessa, ma allo stesso tempo agiata. Eviterei la demagogia. Non è realista affermare che un atleta ricco e famoso abbia una vita facile. Ogni uomo ha i propri dilemmi e non credo stia all’altro poterli interpretare. Sarebbe fuorviante e banalizzante. Non lo farò certamente io.

Leo Buscaglia afferma che: “I nostri talenti sono il dono che Dio ci dà… Cosa facciamo dei nostri talenti è il nostro dono a Dio”. In tanti ritengono che Mario abbia gettato alle ortiche le sue infinite doti calcistiche. Sono 10 anni che cerco di sostenere la tesi per cui questo calciatore sboccerà. Seppur con un ritardo mostruoso, Balotelli renderà ragione alle sue possibilità. Con la recente esperienza al Brescia, cado anche io. Alzo bandiera bianca. Ho perso. Ho sperato a lungo che il bomber potesse regalare ancora grandi soddisfazioni alla Nostra Nazionale, ma ora mi diventa molto complesso riuscire ad argomentare quella teoria. E’ vero che lo slittamento di un anno dell’Europeo gli concederà ancora 365 giorni di tempo. Penso, però, che servirebbe un miracolo. Mi auguro vivamente per lui che si avveri. Il ritorno nella sua Città avrebbe potuto fornirgli gli stimoli giusti. Insomma, la fortuna di poter giocare in serie A con il Brescia non è poca cosa. Il ragazzo vive a casa circondato dagli affetti o dall’ambiente domestico. Difende i colori della squadra che non rappresenta il suo luogo natale, ma comunque quello in cui è cresciuto. L’habitat avrebbe potuto essere il migliore e questo probabilmente aveva spinto Cellino ad affrontare una simile scommessa. Ammetto che l’estate scorsa credevo fosse vincente. Ora sono più propenso all’ipotesi contraria. Certo, il ragazzo non ha tutte le responsabilità del caso perché l’annata dei biancazzurri sembra davvero stregata, ma da lui ci si sarebbe legittimamente attesi qualcosa in più. Nonostante tutto, un finale di stagione da urlo potrebbe sconfessare me come i tanti che ormai posseggono una simile opinione.

In sostanza, ero uno degli ultimi baluardi e sono crollato. Mario, però, lascerà al calcio un’eredità diversa e forse ancora più importante. D’altronde esistono già tanti esempi di professionisti emblematici che nutrono attualmente questo sport grazie al carisma, alla tenacia, alla volontà e a tutte quelle prerogative che consentono di diventare campioni. I riferimenti potrebbero essere, per esempio, Ronaldo e Messi. Servono altri tipi di messaggio. Balotelli è il loro emblema. Pur non sbocciando mai definitivamente e non trasformandosi nel campione che avrebbe potuto essere, il bresciano ha affrancato un’infanzia che potrebbe essere definita difficile. Il calcio è determinante perché garantisce enormi possibilità di “riscatto”. Attenzione: questo sostantivo non significa miglioramento della classe sociale di appartenenza. Lungi dal voler pensare una simile situazione. Il pallone, alla pari di molte altre professioni, consente di poter trovare la propria strada e la vocazione personale. Questo è il senso che intendo fornire al termine utilizzato. Balotelli non è riuscito a esprimere totalmente il proprio potenziale, ma si è ritagliato uno spazio all’interno della realtà. Probabilmente Mario è questo tipo di atleta. Diventa inutile forzare le situazioni e chiedergli qualcosa che non può raggiungere. Dopo 10 anni, ho compreso anche io che il fiore non sboccerà perchè si è già totalmente dischiuso ed è comunque fantastico. Occorre accettare il fatto che ognuno di noi, a modo suo, donerà qualcosa di utile e “farà la propria parte” nella società. Il lombardo si è espresso così e ha comunque avuto un ruolo importante nella storia del calcio. Il pallone è una professione come le altre e questo concetto non pare essere sempre compreso. Se una persona esprime potenzialità in quel senso, non vedo il motivo di “tarparle le ali”. E’ chiaro che bisogna risultare molto abili nel percepire la forza della vocazione. Il calcio non è certo un mondo semplice perché sono davvero in pochi i fortunati che vi entrano, ma non è detto che si debba divenire giocatori. E’ un’attività che ha molteplici sfaccettature. Si passa dagli addetti alla squadra come magazzinieri, giardinieri, segretari, dirigenti o altre figure legate alla comunicazione, agli agenti o a chi vive questa realtà in modo trasversale come i giornalisti, i blogger o chi si occupa dei media. Lo sport più amato d’Italia è un settore fondamentale, ma ultimamente il populismo si è permesso di attaccarlo in maniera fragorosa trattandolo alla stregua di un inutile gioco che può risultare persino distruttivo. Non è così. Recentemente Gravina è stato emblematico nello specificare quale sia il significato concreto del pallone parlando di 100mila posti di lavoro da tutelare e 12 settori merceologici da proteggere, oltre a tutto l’importante valore sociale. Non è nemmeno realistico affermare che la carriera all’interno di tale ambiente possa durare al massimo pochi anni. Tutti gli esempi di categorie che ho specificato denotano come il calcio regali molteplici sbocchi o alternative. Il proliferare dei mezzi di comunicazione e il tanto vituperato “pallone moderno” hanno agevolato a dismisura un simile meccanismo garantendo a più persone la chance di rispettare la propria vocazione. E’ chiaro che entrare nell’ambiente è sicuramente impresa molto complessa, ma non si neghi la realtà. Allo stato dell’arte, purtroppo, risulta davvero complicato riuscire a esercitare qualsiasi attività professionale e “l’emergenza coronavirus” non ha certo migliorato la situazione.

I media danno, i media tolgono. Non credo che la carriera di Balotelli sia stata determinata da questo mondo che, però, potrebbe averla influenzata. Ho appena affermato che probabilmente Mario ha garantito ciò che è nelle sue corde. Non mi sento quindi di sostenere che abbia sprecato il suo talento e nemmeno che sia stato limitato da fattori esterni, ma l’opinione pubblica sovente non lo ha aiutato. Così parla Papa Francesco: “Noi viviamo in un mondo in cui praticamente non esiste quasi nulla che non abbia a che fare con l’universo dei media. Strumenti sempre più sofisticati rafforzano il ruolo sempre più pervasivo giocato dalle tecnologie, dai linguaggi e dalle forme della comunicazione nello svolgersi della nostra vita quotidiana”. La comunicazione pervade l’esistenza soprattutto in un momento nel quale è impossibile evitarla. Dal cellulare alla televisione, in ogni istante possiamo avere notizia di ciò che accade all’esterno. E’ un valore molto utile se gestito in maniera corretta. Mario spesso è subissato dalle critiche e ogni suo comportamento è amplificato dall’eco gigante dei media che chiaramente influenza l’opinione pubblica venendone a sua volta toccato. Balotelli può aver subito in parte questo meccanismo. Forse tale settore dovrebbero comprendere che gli individui non sono automi. Sono fatti di carne e il cuore percepisce ciò che il mondo pensa di loro. Ogni persona ha una diversa sensibilità ed è certamente coinvolta da quello che all’esterno si coglie di lei. Dal lancio della maglietta interista dopo la vittoriosa semifinale di andata di Champions del 2010 contro il Barca alla scommessa con l’amico partenopeo che si è gettato in mare con il motorino, la comunicazione ha sempre mostrato ogni “balotellata”. E’ giusto, perché lo scopo dell’informazione è proprio quello di rendere noto ciò che accade. Ammesso questo, il contorno diviene fondamentale. I modi in cui si diffonde la notizia e i commenti risultano determinanti. Non dico che nel caso di Mario siano stati corretti o errati. Non giudico. Pongo soltanto un quesito: potrebbero avere influito sul modo di conoscere Mario all’esterno?

Concludo trattando delle singole squadre nelle quali Balotelli ha militato compresa la Nostra Nazionale. Vi faccio una domanda. A tratti non è apparso come il capro espiatorio di talune situazioni? Questo potrebbe essere anche utile perché favorisce il gruppo che vede scaricare su altri le pressioni, ma non agevola sicuramente la carriera della “vittima”. Penso, per esempio, all’infausto Mondiale del 2014. Non essendo parte dello spogliatoio non mi permetterei mai di giudicare, ma l’impressione fornita all’esterno non si discosta troppo da un simile concetto e non si tratta di un’immagine magnifica da mostrare al di fuori del mondo del pallone.

Balotelli non avrà lasciato al calcio giocato tutto quello che ci si sarebbe attesi 10 anni or sono, ma certamente la sua figura non è passata inosservata. Se si analizza la situazione nel profondo, chi ha creduto in lui ha vinto la scommessa perché la sua immagine ha fornito comunque spunti di riflessione fondamentali e può aver stimolato crescita e miglioramenti in ognuno di noi. Tutto questo senza considerare l’operazione dal punto di vista del marketing. Balotelli in rosa non può che favorire la pubblicità di una data società. Oscar Wilde diceva: “Parlarne bene o parlarne male non importa, purché se ne parli”.