Dalla valle alla città, sorridente, umile, professionale e riservato.

Questo è quello che abbiamo scoperto del capitano della Fiorentina, di Davide Astori. Uno dei tanti, uno dei tanti giocatori di calcio, sono centinaia di migliaia in tutto il mondo, come in Italia, dai più alti livelli al cuore calcistico del Paese, quello dei dilettanti.
Astori lo abbiamo scoperto tardi, lo abbiamo scoperto quando non c'era più, quando il cuore ha deciso di fermarsi, fermarsi per sempre e per entrare nel cuore di tutti noi. Con delicatezza.

Non sappiamo cosa è successo, perché Astori ha colpito tutti.
Non è il primo giocatore, ahimè, che muore, non è il primo calciatore di giovane età ad andarsene. Eppure è successo un qualcosa di potente, incredibile, inspiegabile, verrebbe da dire di magico, se non si stesse parlando di una tragedia immane.

Con Astori se ne è andata quell'icona del calcio che lui ha rappresentato, senza saperlo, in modo silenzioso, giorno dopo giorno. Semplicità, professionalità, umiltà, sacrificio, passione. Non giocava a calcio per soldi, per diventare un vip, uno di quelli che passa il suo tempo a mostrare muscoli e tatuaggi e macchine e gioielli comprati calciando il pallone. Comportamenti legittimi ci mancherebbe. Ma il calcio vero è altra cosa, il calcio vero ha un suo spirito che oggi viene colto e coltivato da pochi, pochi che si fanno portatori, consapevolmente o meno, di certi valori che nel calcio moderno sono sempre più rari, gioielli grezzi da scoprire e quando li scopri non li molli più.

Un calciatore per caso si è detto, quel caso che nell'estremità d'Italia, in quella che doveva essere un classico, tra Udine e Fiorentina, ha deciso di prenderselo e portarselo via, per sempre.