Nei miei viaggi in giro per il mondo, la maggior parte fatti nel nostro vecchio continente, l’Europa, ho avuto la possibilità di scoprire la bellezza dell’architettura, dei dipinti, dei mari, dei laghi, delle montagne. Ho avuto il privilegio di assaporare il gusto delle più svariate cucine, il profumo delle spezie, il retrogusto di vini e distillati provenienti da ogni dove.
Viaggiare apre la mente, parlare con la gente del posto, frequentare le loro case, i loro bar e ristoranti fa capire la cultura, il pensiero, le abitudini del Paese che stai visitando.
Leggere e viaggiare, niente dà più istruzione, conoscenza, padronanza di una lingua, consapevolezza di ciò che circonda. La lettura e il viaggio ci fanno scoprire da dove arriviamo, chi e cosa c’è stato prima di noi, chi e che cosa c’è insieme a noi. Solo conoscendo possiamo vivere un buon presente ed immaginare e creare un futuro migliore.
Quando ti abitui al diverso, che alla fine tanto diverso in realtà non è, incominci a non stupirti più quasi di nulla, incominci a non essere intollerante a cose da te apparentemente distanti, incominci forse anche a perdere un po’ di sensibilità verso la bellezza e la bruttezza, verso la bontà e la crudeltà.
Occorrono scosse forti per emozionarti, nel bene e nel male.
Io quelle scosse tremende le avvertite due volte negli ultimi cinque anni, la prima volta varcando il cancello del primo campo di concentramento nazista aperto nel 1933 a Dachau, poco fuori Monaco di Baviera (Germania), e la seconda a Birkenau in Polonia, altro campo di concentramento distante circa 3 km dal purtroppo famosissimo Auschwitz.
La sensazione che subito ho provato entrando in entrambi i luoghi è stata come se nell’aria veleggiassero le anime senza pace delle persone orribilmente portate a forza in quei campi, fatte lavorare allo sfinimento senza essere nutrite, riscaldate, curate, e poi buttate nelle camere a gas per dargli il colpo di grazia, prima di infilarle come legna da ardere e renderle cenere nei forni crematori.
Sì, un silenzio assordante, la percezione delle urla di dolore eterno, di richiesta di giustizia e di pace di quei milioni di esseri umani portati alla morte in modo atroce per la sola colpa di essere ebrei, zingari, omosessuali e portatori di handicap.
Provate a pensare ad un vostro figlio, nipote, amico, con una parte di sangue ebrea, con un’inclinazione sessuale non proprio corrispondente alla normalità, o con magari il cromosoma 21 in sovrannumero.
Provate a pensare di vedervelo portare via, strappato dalle vostre braccia, pensate di vederlo caricare su un treno dove la gente come lui etichettata diversa viene ammassata e poi scaricata in mezzo ad un campo recintato e comandato da uomini in divisa che impugnano fucili.
Pensate di non vederlo più correre sorridente per i prati verdi calciando un pallone.
Pensate che dopo qualche mese, quel figlio, quel nipote, quell’amico sarà cenere e la sua anima non troverà mai pace per quest’ingiustizia.
Di anime senza pace non ne vogliamo più.
Never forget
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