"La mia vita coincide per tre quarti con quella della Fiat. E il mio rapporto con la Fiat è metà di memoria e metà di vissuto". Parole di Gianni Agnelli, che di zero nella sua vita ha avuto solo una cosa, la banalità nel parlare. Tutto il resto erano intuito, sagacia, azienda, passione. In questa frase ci sono i due volti della Juve, soprattutto quella di adesso, divisa a metà fra i conti, l'azienda in senso globale, e a metà di vissuto. È proprio in quel vissuto che ci sono milioni di tifosi in tutto il mondo, e proprio di questo vive la Juve. Racconti, passione, gloria, vittorie. Il vissuto e l'azienda. Due parole che la Juve di oggi, plasmata dagli Agnelli 2.0, non riesce a far coniugare.
Sembra questo il nodo che sta creando tensione, dubbi fra i sostenitori, e sta cancellando, a mio modesto parere, quel brivido che ci fa sperare di avere tanti beniamini da idolatrare. Da Sivori a Charles, Scirea, Baggio, Del Piero, i Ravanelli e Vialli di Lippi. Quelle squadre i campioni non li vendevano, e se è vero che erano altri tempi, e pur vero che che l'azienda è fatta di numeri, mentre i tifosi vivono di passioni. Partiamo dalla scelta del tecnico. Fuori Sarri e dentro Pirlo, tradotto dall'italiano al juventino, si passa dal freddo al caldo, e soprattutto alla juventinità. Mossa azzeccata, perché se non si sceglie un top manager, è meglio costruirli in casa, ma soprattutto averli con la giacca, e sotto questa la maglia con le tre stelle e la J sotto. E il resto? Azienda o passione, Dio denaro o splendida dea passione? Ecco il nodo.
Vendere Dybala sarebbe un colpo al cuore, inimmaginabile, forse ancor più di una cessione di Ronaldo. I tifosi bianconeri si innamorano dei 10 più che di ogni altro tipo di calciatore, portano nel cuore chi accende l'entusiasmo, adorano Zidane anche quando ti mette i piedi in testa in Champions, perché quello che ha fatto a Torino resta nel cuore, e porta gioia. Anzi Joya, così bella da diventare tendenza su Twitter pur di far sentire la voce che dice ad Agnelli di trattenerlo. C'è da trovare un compromesso, in un periodo storico in cui l'azienda è alla base di tutto, ma il calcio non è la Fiat, è un'altra cosa, e non produce auto, ma emozioni, ricordi e racconto. E allora Andrea, ricordi la frase di Gianni. "Tutto quello che ho, l'ho ereditato. Ha fatto tutto mio nonno. Devo tutto al diritto di proprietà e al diritto di successione, io vi ho aggiunto il dovere della responsabilità". La sua è di fare azienda, ma di non privare i tifosi di quegli uomini che la Juve porterà sempre nel cuore, con emozione e passione.
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