Prendo spunto da un recente articolo del caro Gualtiero che tenta una spiegazione logica sulla vivace attuale querelle di casa Juve : dopo l'ennesimo scudetto e l'ennesima delusione di Champions,  ALLEGRI SI/ALLEGRI NO ?

Dopo alcune (correttissime) considerazioni che, nell'ipotetico di Gualtiero, coinvolgerebbero il sentire del Presidente,  la conclusione è la seguente : visto che non pare essere libero  all'ingaggio alcun rimpiazzo migliore, piuttosto trangugiamo l'amaro calice e teniamoci Allegri.

Tutto corretto.

Voglio peraltro lanciare una aperta provocazione e chiedere : PERCHÉ ALLEGRI, SE FOSSE, DOVREBBE ESSERE SOSTITUITO DA UN "PARI GRADO PER FAMA ?"

Io ricordo abbastanza nitidamente che molti coach che diventarono poi grandi/grandissimi, ricevettero impensabili fiducie quando ancora erano praticamente  degli sconosciuti.

Fra questi inserisco GIovanni Trapattoni, quando venne alla Juventus, Pep Guardiola, quando dal Barca B passò alla prima squadra, Arrigo Sacchi, chiamato al Milan dal Parma, Jurgen Klopp proveniente dal Magonza quando andò  al Borussia, lo stesso Antonio Conte, quando approdò a Torino non da giocatore. Certamente ne dimentico altri.

So bene anche io che, attualmente, il panorama europeo ai massimi livelli è occupato da meno di dieci nomi, che si rincorrono con alterne fortune.

Ma siamo certi che siano autentiche GARANZIE di risultato ?

Sempre Gualtiero, nel suo immaginario discorso con Agnelli, ipotizza che il Presidente non si possa permettere rischi, tenuto conto del peso amministrativo dell'industria Juventus.

Ed anche questo è verissimo.

Peraltro, le società di calcio sono diventate SI delle industrie sotto il profilo della gestione finanziaria, ma continuano a non esserlo sotto il profilo gestionale e produttivo.

FCA (per rimanere in casa) può aumentare o diminuire i propri guadagni in funzione dei progetti, delle lavorazioni e dei risultati di vendita dei modelli che produce.

L'azienda conoscerà un andamento pseudociclico ogniqualvolta un certo modello avrà raggiunto saturazione di mercato e, magari dopo un restyling, potrà essere sostituito da una nuova produzione.

La storia della 500, della UNO, della Giulietta, insegnano. E, prima ancora,  quella della "Topolino".

I risultati di una squadra di calcio sono  una esperienza MOLTO MOLTO DIFFERENTE rispetto al successo di una produzione industriale dedicata alla vendita.

Un grande club di calcio avrà autentico successo solo quando avrà raggiunto amalgama, conoscenza reciproca tra gli elementi, rispetto in spogliatoio, capacità di sofferenza, esperienza internazionale, sapienza e stile nel gioco corale.

Ogni passo dovrà essere seguito da un coach illuminato, da collaboratori validi (preparatori atletici, fisioterapisti, sanitari), da una politica societaria che la supporti e che ne consenta una armonica maturazione.

La squadra inizierà a rendere al meglio delle possibilità teoriche quando questo accordo perfetto sarà raggiunto e lo stato di grazia perdurerà fino a che sarà mantenuto.

Penso che sotto questo profilo il Barca di Guardiola, l'Ajax di Crujff, il Milan di Sacchi rappresentino gli esempi più fulgidi, dopo, forse, il Grande Torino degli immortali.

A mano a mano, però, gli elementi si logoreranno, qualcuno cambierà casacca e gli equilibrii portano modificarsi.

Sarà sempre difficile, quando non impossibile, sostituire singolarmente  gli elementi che vengono a mancare a mano a mano, sostituendoli con delle clonazioni idonee.

Il ciclo "perfetto" quindi si chiuderà e non basterà,  come per la Fiat UNO,  avere un nuovo progetto di modello per saturare le perdite e riottenere il successo planetario.

Bisognerà allora  ricostruire tutto da capo, ed il processo richiederà tempo, molto tempo, e più di un rischio sulla scelta di ogni nuovo "mattoncino".

Personalmente, come Gualtiero, non ho mai amato Allegri e non comprendo il suo spirito sparagnino.

Resta il dato storico che Egli  sa far rendere il massimo possibile con il minimo sforzo.

Così si spiegano gli scudetti da un lato e la delusione europea dall'altro.

Qualcosa, quindi, "rende" a prescindere ...

Ma non si tratta di genio, quanto di accurato, abilissimo calcolo; si tratta dello sfruttamento di una contingenza italiana dipeso dal "suicidio" di ogni avversario degno.

Questo NON È SPORT.

Se Usain Bolt si fosse accontentato di "vincere le sue medaglie" contro chi correva meno forte di lui, lo avrebbe potuto fare, ma non avrebbe mai migliorato i suoi record.

Nel calcio di oggi, invece, bisogna quindi "vincere" in campo tenendo ben d'occhio il libromastro custodito in Società.

Io sono un semplice tifoso, e non rischio i miei quattrini. 

Gli azionisti invece SI ed il Presidente in primis.

Forse, bisogna ammettere che non c'è tempo per fermarsi, non c'è logica  in una ricostruzione dalle fondamenta, non c'è il permesso di sbagliare.

La struttura finanziaria prevede infatti la necessità  dell'automantenimento economico; le regole della sopravvivenza societaria non accettano nè rischi, nè soste infruttuose.

Diciamo, quindi che, a livello pratico, si deve chinar la testa alla ragion di stato (e di pecunia).

Siamo tutti soggetti raziocinanti.

Possiamo comprendere il fenomeno, e, magari, anche accettarlo.

Smettiamo, però, per onestà intellettuale,  di parlare di sport, di tifo, di bandiere, e di tradizioni.

Il calcio-finanza, purtroppo, ha modificato anche quei valori.