Nata come sfida inaugurale della nuova stagione tra le vincitrici del campionato e della coppa Italia dell’anno precedente, la Supercoppa è ormai diventata solamente l’ennesima partita da incastrare in un calendario che pare non avere più alcuno spazio disponibile. Accade così che in una gelida notte di un gennaio già fitto di impegni, Inter e Juventus siano costrette a scendere in campo per contendersi un trofeo di valore relativo, che in nessun caso riesce a spostare più di tanto la valutazione su una stagione, vincente o negativa che sia. Certo, si tratta pur sempre di una sfida da disputare contro un avversario con il quale nessun tifoso della Juventus vuole mai perdere ma, incastrata quasi a forza tra impegni a questo punto della stagione decisamente più rilevanti, la partita che vale la Supercoppa trasmette quasi più la sensazione di un fastidio che forse sarebbe stato meglio evitare. 

La Juventus si presenta alla gara di San Siro con una lunghissima lista di assenti. Praticamente obbligate le scelte di Allegri in difesa, dove la linea di quattro uomini a protezione della porta, difesa in questa notte milanese da Perin, è formata da De Sciglio, Rugani, Chiellini e Alex Sandro. A centrocampo, anche questo a quattro, il tecnico bianconero sceglie Bernardeschi, Locatelli, Rabiot e McKennie. In attacco, spazio a Kulusevski e Morata. Dybala si accomoda in panchina. Una scelta che ha lo scopo di preservarlo in vista delle prossime partite di campionato, contro Udinese e Milan, che potrebbero orientare in maniera significativa la rincorsa della Juventus all’indispensabile quarto posto. Dopo aver perso Chiesa per il resto della stagione, Allegri non può permettersi di rischiare il suo uomo migliore. Sulla sponda opposta, Simone Inzaghi, avviato a vincere il primo scudetto della sua carriera da allenatore, risponde con l’ormai collaudato 352. Handanovic; Skriniar, De Vrij, Bastoni; Dumfries, Barella, Brozovic, Calhanoglu, Perisic; Lautaro, Dzeko; sono gli undici elementi scelti dal tecnico nerazzurro per contendere la Supercoppa alla Juventus.
Il tifoso prende posto davanti alla tv ben felice di mettere da parte almeno per una sera i disastri di Dazn e le telecronache di Pardo. San Siro, gremito forse qualcosa in meno rispetto al limite della capienza concessa e diviso a metà fra le due tifoserie, accoglie sul terreno di gioco le squadre guidate dall’arbitro Doveri. Prima dell’inizio della finale, con le formazioni allineate davanti alla tribuna rossa, fa il suo ingresso in campo una signora, vestita come un grande confetto rosa, che il telecronista Callegari spiega essere una cantante piuttosto famosa (Mai sentita, ma in questo caso però la colpa è della monumentale ignoranza in materia di chi scrive). L’artista si esibisce in una versione del “Canto degli italiani” eseguita “a cappella". Senza musica, l’inno perde il suo effetto trascinante che tanti cuori aveva esaltato durante il trionfale campionato europeo della nostra nazionale. I versi di Mameli si disperdono in uno stadio che ascolta con rispetto ma senza quella partecipazione che rende l’inno d’Italia un momento unico di entusiasmo, appartenenza e aggregazione. Conclusa l’ennesima americanata di cui non si avvertiva alcuna necessità, la partita può finalmente iniziare.

E’ l’Inter a prendere la partita in mano fin da subito. La squadra di Inzaghi, più fisica, più veloce, ben organizzata, muove il pallone con sicurezza, cercando di aprire la difesa bianconera sui due lati, dove Dumfries e, soprattutto, Perisic si propongono in avanti con costante regolarità. La Juventus, come ormai siamo abituati a vedere, mantiene un baricentro piuttosto basso. Raccolta a protezione della propria area, la squadra di Allegri non sembra in grado di creare particolari ostacoli alla manovra interista. Kulusevski, schierato da punta, ha il compito di portare pressione su Brozovic ogni volta che il regista croato entra in possesso di palla. Il resto della squadra non accompagna però l’azione di disturbo dello svedese organizzando una pressione più avanzata, rendendo alla fine il suo sacrificio uno spreco di energie. L’Inter arriva con grande facilità a ridosso dell’area di rigore bianconera. Emerge fin da subito una differenza che appare anche piuttosto netta di gioco, velocità e condizione fisica. I contrasti si risolvono tutti in favore degli uomini di Inzaghi. I giocatori in maglia bianconera vengono rimbalzati via senza nemmeno riuscire a disturbare il giocatore al quale contendono il pallone. Rabiot e Locatelli, schierati come coppia di mediani, si ritrovano in costante inferiorità numerica sulle avanzate avversarie. L’Inter si presenta in attacco con diversi uomini. Bastoni, nominalmente terzo centrale di difesa a sinistra, si sgancia costantemente per offrire un ulteriore punto di appoggio al gioco nerazzurro. Fin dai primi minuti, l’Inter riesce a ricavare diverse opportunità per portarsi in vantaggio. Dzeko spedisce alto di testa da buona posizione un invito di Perisic dalla sinistra, Lautaro manca due importanti occasioni. La prima fallendo, a pochi passi dalla porta, l’impatto con un pallone colpito di testa da De Vrij sugli sviluppi di un calcio d’angolo. La seconda calciando in maniera sciagurata, svirgolando con il destro, un pallone servitogli, con un tocco di prima intenzione, da Barella. L’Inter reclama anche un calcio di rigore per un contrasto in area tra Chiellini e lo stesso Barella, giudicato però regolare dall’arbitro Doveri. Dai replay trasmessi, la decisione dell’arbitro appare corretta. Inzaghi però non ci sta. Si scatena in una delle sue solite proteste da invasato, prendendo a calci un cartellone pubblicitario sistemato accanto alla sua panchina. L’indecente sceneggiata gli costa soltanto un’occhiata severa da parte del direttore di gara.
La Juventus, fino a quel punto completamente inesistente in avanti, sfrutta al massimo il primo momento in cui l’Inter pare alleggerire la pressione iniziale. Kulusevski ruba palla a Brozovic e offre a Bernardeschi un’invitante situazione di contropiede a ridosso dell’area interista. L’esterno come al solito sbaglia la scelta. In superiorità numerica, invece di cercare Morata libero al limite dell’area, finisce per incartarsi in un dribbling contro De Vrij. Perde il pallone. La buona opportunità sfuma. Le sue proteste per un presunto intervento irregolare da parte del difensore olandese, non trovano alcun fondamento. La Juventus attraversa in questa fase il periodo migliore dell’intero primo tempo. Ancora Kulusevski si accende sulla fascia destra. Lo svedese salta secco Brozovic, attira a sé Bastoni, quindi scarica per Locatelli all’altezza del vertice destro dell’area. Il cross del centrocampista è però alto e lento. Skriniar anticipa Morata e alleggerisce di testa verso la linea laterale. Lo spagnolo combatte, recupera palla e crossa di nuovo verso il centro dell’area. Il pallone, leggermente deviato da Skriniar, supera De Vrij e incontra la testa di McKennie che, a pochi passi dalla porta, brucia Bastoni e porta in vantaggio la Juventus. L’americano, nonostante tanta confusione causata spesso da scelte affrettate, può offrire alla Juventus energia e inserimenti in verticale tra le linee. Costringerlo largo su una delle due fasce significa dimezzare il suo potenziale, non sfruttarlo per quello che ha da offrire. Ottenuto il vantaggio, la Juventus prova a proporsi ancora in avanti. Un tiro di Kulusevski da fuori area, ben parato da Handanovic chiude però il buon momento bianconero. La partita torna a percorrere il binario abituale. L’Inter si riorganizza, riprende il controllo del pallone e riporta la partita nella metà campo avversaria. La squadra di Inzaghi torna a spingere. Calhanoglu impegna Perin con un tiro dalla distanza ben contenuto dal portiere, passano pochi minuti e Dzeko entra a contatto con De Sciglio in area. Doveri questa volta concede il rigore. Dal dischetto si presenta Lautaro, molto in ombra fino a quel momento. L’argentino tira molto bene, forte e preciso, non lasciando scampo a Perin. L’incontro torna in parità.
Di marca nerazzurra la parte finale del primo tempo. Bastoni e Perisic sulla sinistra fanno quello che vogliono contro De Sciglio che da solo non sembra in grado di tenere testa all’ala croata. La regia regala qualche primo piano di troppo ad un invasato Simone Inzaghi, come al solito capace di protestare per qualsiasi cosa, accendendo i consueti latrati della parte nerazzurra di San Siro. La Juventus fatica a tenere il ritmo e a reggere sui contrasti, che continuano a risolversi sempre in favore dei nostri avversari. Non arrivano però particolari occasioni da rete. Dalla pressione esercitata, la squadra nerazzurra rimedia alcuni calci d’angolo che creano mischie davanti alla porta di Perin, comunque risolte dalla difesa bianconera.

Finisce il primo tempo sul risultato di parità. Una partita difficile per la Juventus che è riuscita a rendersi pericolosa soltanto grazie a due iniziative di Kulusevski. Pochi minuti di buona qualità in una partita di grande sacrificio per lo svedese e per Morata, suo compagno di reparto. Alla Juventus pare funzioni in questa maniera. Ai giocatori offensivi non si chiedono qualità, tiri e creatività, si chiede sacrificio. Non gli viene offerto supporto dai reparti arretrati, si vuole che siano sempre le punte a tornare per difendere. Alla Juventus fare gol non sembra importante, salvo poi lamentarsi per i numeri ridicoli in fase di realizzazione, conta non subirne. Per carità, riuscire ad avere il giusto equilibrio in campo rimane il primo passo per costruire una squadra forte e in grado di battere gli avversari. Il problema della Juventus però è che l’equilibrio non esiste. Una squadra costantemente sbilanciata all’indietro, incapace di difendersi in una maniera differente rispetto al muro a ridosso della propria area, incapace di proporre una pressione organizzata sui portatori di palla. Guardando questo primo tempo, il tifoso davanti alla tv è riuscito perfettamente a comprendere quanto forte sia la voglia di Morata di raggiungere presto Barcellona.  

Le due squadre si riaffacciano sul terreno di gioco con le stesse formazioni con cui hanno iniziato l’incontro. In avvio di ripresa è la Juventus a mostrarsi un minimo più intraprendente. La squadra di Allegri si accorge che esiste anche la fascia sinistra, come sempre territorio inesplorato. Alex Sandro premia l’inserimento di Rabiot che dal fondo mette un cross teso, leggermente arretrato. Il velo di Kulusevski favorisce Bernardeschi che arriva a concludere l’azione. Il sinistro dell’esterno è però troppo chiuso e la palla scivola a lato senza spaventare più di tanto Handanovic. La regia regala un’inquadratura di Nedved che in tribuna si rammarica per la buona opportunità non capitalizzata. Da un angolo della memoria, il tifoso davanti alla tv si ritrova con grande nostalgia a ricordare i tempi in cui era il fuoriclasse ceco a concludere in quelle situazioni. Trascorrono un paio di minuti e lo spirito di Sivori si impadronisce di Bernardeschi. Da destra, l’esterno parte in dribbling. Salta Calhanoglu, Perisic, Brozovic e De Vrij, arrivando pericolosamente al limite dell’area. A quel punto la magia finisce. Bernardeschi ritorna Bernardeschi e conclude alla sua maniera, alto sopra la traversa. La nuova fiammata bianconera si esaurisce. L’Inter torna in controllo della partita. Dumfries di testa impegna Perin in una parata complicata. Perisic sembra troppo per De Sciglio. Sulla sinistra passa quando vuole, riuscendo sempre a crossare con una certa pericolosità. La serata infelice degli attaccanti nerazzurri mantiene la partita in equilibrio. L’arbitro Doveri mantiene un metro di giudizio piuttosto permissivo per tutto l’incontro. Pochi fischi, pochissimi cartellini. L’Inter riesce ad approfittarne decisamente meglio rispetto alla Juventus. Per vedere qualche colpo ben assestato da parte dei giocatori bianconeri bisogna attendere quasi la metà del secondo tempo, quando è Rugani ad entrare deciso su Lautaro.
Morata, abbandonato al suo destino, si intristisce da solo lì davanti. Riceve palla sempre isolato, con cinquanta metri di campo da percorrere e nessun compagno in aiuto. Kulusevski continua a sfiancarsi in un lavoro di copertura che gli toglie energia e lucidità. Come in tante altre partite, la sensazione è che manchi sempre un altro elemento capace di incidere nella fase offensiva. Arriva il momento di Dybala. Il tifoso davanti alla tv timidamente si azzarda a pensare che forse è la volta buona di vedere una squadra più propositiva. Allegri però la pensa diversamente. L’argentino entra al posto Kulusevski. Due attaccanti e Bernardeschi, più di questo non ci viene concesso. Non sia mai che giochiamo una partita senza avere un mediano sulla fascia. Ma che male abbiamo fatto? La Juventus in avanti continua a non esistere. Dybala viene immediatamente risucchiato all’indietro dalla necessità di regalare un tocco di qualità ad una manovra altrimenti faticosa. Sulla sinistra non attacchiamo mai. A destra, nella solita enorme confusione, ogni tanto emerge uno spunto da parte di Bernardeschi. Troppo poco però per pensare di arrivare a tirare in porta. La Juventus tiene come sempre il baricentro basso. Quando prova ad andare in pressione, lo fa con pochi uomini e fuori tempo. Si crea uno spazio tra la difesa e il centrocampo nel quale l’Inter, in ogni occasione, riesce a trovare un uomo libero. Si ripete, esattamente alla stessa maniera, una delle situazioni chiave nella sconfitta subita a Milano nella scorsa stagione. 

L’Inter, che in campo si è dimostrata superiore sotto l’aspetto fisico, mentale e tattico, pecca forse una certa carenza di qualità nella fase conclusiva dell’azione, altrimenti la partita sarebbe già decisamente orientata. Inzaghi cambia il suo attacco. Lautaro lascia il campo rilevato da Sanchez. Si accomoda in panchina scuro in volto, ma di lui si ricorda soltanto il rigore calciato molto bene. Per il resto è stato autore di una prestazione modesta. Se la partita è inchiodata sul pareggio gran parte della responsabilità (o del merito, a seconda dei punti di vista) è la sua. Un pensiero funesto attraversa la mente del tifoso stanco e avvilito. Se al posto di Lautaro ci fosse stato Dybala, in una squadra che propone una grande quantità di gioco, il risultato sarebbe ancora in parità? Il pensiero di quel contratto che pare sempre più lontano dal rinnovo, la possibilità che il nostro giocatore migliore (con buona pace del popolo social che non perde occasione di attaccare Dybala, confondendo in maniera irrimediabile causa ed effetto) possa finire proprio da quelli lì, si prende la scena nei pensieri del tifoso davanti alla tv, mentre Correa prende il posto di Dzeko. Allegri interviene ancora sulla sua formazione togliendo Bernardeschi. Al suo posto entra Arthur. Resta oscuro il piano del tecnico per arrivare al gol. Ammesso che un piano esista.
La partita si trascina verso i supplementari. Prima del novantesimo, Allegri richiama in panchina un esausto Morata, mandando in campo Kean al suo posto. Esce anche Locatelli sostituito da Bentancur. L’Inter, che a sua volta toglie Barella e Dumfries e inserisce Vidal e Darmian, inizia a pagare lo sforzo messo in campo nei novanta minuti. Riesce a mantenere il controllo del pallone ma non arriva più dalle parti di Perin. Ad un passo dal fischio di chiusura, su un cross di Alex Sandro da sinistra, intercettato da Handanovic, McKennie rimane a terra. Il replay evidenzia una manata di Bastoni sul volto dell’americano. Una situazione identica a quella che, nella scorsa stagione, a Napoli, costò alla Juventus un rigore a sfavore. Allora fu Chiellini a colpire Rahmani. Doveri si consulta con il Var ma non succede niente. Sinceramente, penso che la decisione sbagliata non sia stata questa ma quella di Napoli.

La partita finisce. Si va ai tempi supplementari. Per i tifosi della Juventus si prospetta un’altra mezz’ora di non gioco. I ritmi sono adesso più bassi. L’Inter, che nei novanta minuti ha speso molto, non sembra avere la necessaria brillantezza per prevalere. La Juventus invece non l’ha mai avuta. Kean, cui tocca la stessa sorte di Morata, affoga. Si impegna, prova a lottare, ma sembra una barchetta in mezzo all’oceano. Le possibilità di segnare sono minime. Il tifoso inizia a pensare ad una possibile lista di rigoristi. Visti gli uomini in campo non è semplicissimo arrivare a cinque. Sanchez di testa su situazione di calcio d’angolo va vicinissimo alla rete. Di Marco rileva uno stanco Perisic. Perin in uscita anticipa Correa su cross di Brozovic. I primi quindici minuti si esauriscono.

Cambio di campo e si riparte.
Nel secondo tempo supplementare accade ancora di meno. Le due squadre sembrano non disprezzare la prospettiva dei calci di rigore. Il tifo dell’Inter impegna l’attesa dei tiri dal dischetto, celebrando farsopoli e l’anno in serie B della Juventus. Non basta uno scudetto, neppure due o tre, per cambiare la propria natura. Frustrati sono, frustrati rimangono.
Il tempo scorre veloce. Il minuto centoventi si avvicina. I rigori sembrano a questo punto imminenti ed inevitabili. Nessuna delle due squadre pare avere la forza necessaria per vincere la partita. Il tifoso davanti alla tv sta ancora cercando di mettere insieme una lista di cinque rigoristi bianconeri, senza particolare successo. E’ ancora fermo a Dybala, degli altri non si fida (Uno lo tira Kean? Rabiot potrebbe avere un buon piede? Arthur troverà la forza per far percorrere alla palla ben undici metri? Saremo costretti a far tirare De Sciglio?). Nella stessa difficoltà sembra trovarsi anche Allegri, che infatti ordina a Bonucci di entrare. Con il suo ingresso arriveremmo a due rigoristi. Si tratta solamente di mettere il pallone fuori per procedere alla sostituzione. Non lo facciamo. Il pallone lo gioca l’Inter. Si tratta allora di fare un fallo, fermare la partita e fare il cambio. A quel punto il tempo finisce e si tirano i rigori. Non facciamo neppure il fallo. Allora, indisturbata, quasi senza accorgersene, l’Inter arriva al limite dell’area. Doveri guarda il cronometro. Questione di secondi. Di Marco scambia con Correa e crossa in area. La palla è lenta, a mezza altezza, facilmente controllabile dalla difesa. Alex Sandro invece decide di non rinviare. In una situazione in cui sarebbe bastato allontanare il pallone verso il fallo laterale, il terzino brasiliano decide di stoppare di petto. Sbaglia. La palla schizza via. Si innesca una carambola. Darmian anticipa Chiellini. Sul rimpallo Sanchez, da pochi passi, mette in rete il pallone che consegna la Supercoppa all’Inter.
Callegari in telecronaca esplode. Urla la sua gioia incontenibile per almeno un minuto, mentre il tifoso bianconero, che nemmeno riesce a prendersela più di tanto, si ritrova mestamente a riflettere sull’ennesima partita impostata quasi esclusivamente in chiave di contenimento. Rabbrividisce pensando all’oscena formazione, venuta fuori dai cambi di Allegri, con la quale la Juventus ha concluso i novanta minuti e giocato i supplementari. Un squadra di difensori e mediani, senza nessun elemento in grado di parlare lo stesso linguaggio tecnico di Dybala, impiegato soltanto per tenere qualche pallone e rimediare un paio di falli.
La Juventus ha giocato una partita squallida e triste. Ha giocato come una squadra che sa di essere inferiore, trincerandosi all’indietro per trascinare la gara il più a lungo possibile e provare in qualche modo a vincerla. Invece abbiamo perso, com’è normale che sia quando si gioca in questo modo.
Qual è il senso di andare avanti in questa maniera? Dove pensiamo di arrivare?
Le dichiarazioni di Allegri, soddisfatto per la, a suo dire, bella prestazione offerta dalla squadra, fanno rabbrividire. Spengono qualsiasi speranza. Non se ne esce.