A Sportitalia, dove qualcuno non ha ancora capito che l'esperienza da me acquisita in 20 anni come inviato al seguito della Juventus mi dovrebbe garantire maggiore credibilità e interlocuzione, ho più volte affermato che l'inesperienza di Pirlo porterà, necessariamente, ad un noviziato non sempre incoraggiante. Così è stato a Roma. Le prime avvisaglie si sono registrate proprio contro i giallorossi, animati da generose motivazioni e da un Dzeko emozionato e nel contempo emozionante anche per un clamoroso gol del 3 a 1 calciato sul palo.
Pirlo ha dimostrato che la scommessa di Agnelli non può essere, almeno per il momento, condivisa. La Juve non è una provinciale in cerca di identità. La Juventus è forgiata societariamente per vincere subito, sempre ed in ogni luogo. Non bastano speranzosi ed ottimistici proclami. Con i tempi che corrono e con squadre ormai uscite dal lungo annoso lockdown di vittorie (leggi principalmente l'Inter) il decimo scudetto consecutivo potrebbe rivelarsi un vero e proprio miraggio calcistico. Insomma Pirlo, novello tecnico, che ha ottenuto consensi quasi plebiscitari, non può permettersi di perdere tempo in test ed esperimenti inusuali per una "corazzata" del calibro della Juve. A Roma ciò è avvenuto in maniera solare con Mister Andrea alla ricerca di una formula e di un modulo convincente.
Partito con un 4 - 4 - 2 che ha mortificato l'esuberanza e le potenzialità offensive di Kulusevski, ha proseguito con una pirotecnica girandola di sostituzioni tendenti a ritoccare uno schema di gioco che, fino quel momento, aveva palesato evidenti criticità geometriche. Lo stesso Morata, inserito fin dall'inizio, è apparso estraneo ed avulso da una manovra che non è mai riuscita a decollare. Per dirla in altri termini, l'ex giocatore dell'Atletico di Madrid è stato sacrificato sull'altare dell'emotività e non certo in chiave puramente razionale.
Ancora una volta il salvatore della patria si è rivelato Ronaldo, capace di trasformare in oro anche i metalli di scarso pregio... Al di là di ogni metafora è sempre lui, CR7, l'asso nella manica di una Juve ancora pesantemente in work in progress. Ogni reparto necessita di aggiustamenti e di scelte definitive. Certi scompensi difensivi clamorosi, in occasione del secondo gol romanista, in cui una voragine difensiva ha dato il via ad una ripartenza devastante, sono inconcepibili per una formazione del lignaggio bianconero.
Lo stesso centrocampo ha balbettato più volte con il culmine raggiunto attraverso l'espulsione di Rabiot. Infine Kulusevski sacrificato in un ruolo di contenimento che ne ha confinato l'inventiva e la fantasia dinamica a ridosso dell'area di rigore avversaria. Rimane il punto racimolato all'Olimpico che limita il danno globale per una prestazione decisamente confusionale.
Una Juve da rivedere, nella speranza che certe macroscopiche smagliature possano velocemente rientrare.
Il compito è affidato a Pirlo, forse ancora acerbo, per problematiche e palcoscenici di così ampio respiro.
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