Svezia-Francia. 76’ minuto. Fuori Dimitry Payet dopo una non smagliante perfomance, dentro un ignoto, uno di quei giocatori che in genere si fanno giocare perché “un giorno potrebbero tornare utili”. Ma solo Dio sa quando arriverà questo inutilmente atteso giorno.
Lo sconosciuto in questione è un centrocampista, 21 anni, classe ’95. Si chiama Thomas Lemar, e gioca nel Monaco; in panchina, ovviamente. Entra in campo per 14 minuti, il tempo di stupire spettatori neutrali quali il sottoscritto, beffare il mister, e vedere il tracollo della “propria” nazionale allo scadere del tempo.
Ma la sconfitta va in secondo piano. Quando vedi giocare l’unica partita in Nazionale così bene, ci sono due vie per i tuoi pensieri, che in genere imboccano entrambe: l’approvazione per Lemar, che, pur avendo ventuno anni, fa girare palla con l’eleganza di un trentenne e, naturalmente, una prima (ma poi sedata) delusione nei confronti di Didier Deshamps. Il tutto si conclude, infine, con una speranza nutrita verso il futuro del giocatore che, stando alle sue capacità tecniche, ne ha uno grande. E forse pure in Nazionale.
Ma non siamo egoisti e non idolatriamo un solo fenomeno, perché la Francia ne ha davvero tanti. E tutti in panchina. Situazione analoga è quella di Ousmane Dembélé, eccellente ala del Borussia Dortmund, classe ’96 che, però, ha già trovato un riscatto più dignitoso rispetto a Lemar, avendo giocato, anzi, svoltato più partite della Nazionale sfornando gol ed assist.
Ma che fine fanno i fenomeni? Oggi come oggi, ai giovani con il talento nelle vene si aprono due strade: o si affidano a società europee quali Juve o Manchester o continuano nella squadra in cui giocano attualmente che “non li merita”. Nel primo caso diventerebbero giocatori alla “Pjaca”, pedine di una società che deciderà al meglio come lucrare su di essi, nel secondo gli zeri tolti allo stipendio annuale confluiranno nelle loro valutazioni tecniche.
Poter essere o essere?
Tutto dipende da quella grande differenza che nel calcio intercorre tra idillio e realtà e che spesso annebbia talenti costretti su panchine “non meritate” che concludono la loro carriera con un condizionale.
La scelta sta dunque al giocatore, se venire ricordati con un “sarebbe potuto diventare forte” o con un secco indicativo "era forte", che rende i fenomeni campioni veri.
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