Milioni di persone a scoprire e ammirare il calcio femminile, grazie anche all'avventura della Nazionale femminile. Un movimento calcistico che conta circa 24 mila calciatrici in Italia ma che non sono delle professioniste. Nonostante si parli di Serie A, ad esempio, continueranno a rimanere sotto il regime dei dilettanti. Con tutte le conseguenze che ne derivano. La legge principale di riferimento è la 91 del 23 marzo 1981, che introduce delle norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti. L'articolo 2 è quello che norma il professionismo sportivo, così affermando:
"Ai fini dell'applicazione della presente legge, sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica."
Il calcio è calcio, dice Sara Gama, ma le donne continuano a rimanere delle dilettanti. A subire delle discriminazioni che esistono sicuramente anche in altri sport anche per i colleghi maschi, ma per le donne è più che totale rispetto ai maschi. Non essere trattate come professioniste ha ripercussioni sui diritti: non è tanto una questione di soldi, ma di principi e diritti, da quelli previdenziali, alle tutele per la maternità, infortuni, e così via dicendo.
Hanno in tanti riscoperto la bellezza del calcio femminile, il fascio del calcio femminile, un calcio per alcuni aspetti diverso rispetto a quello maschile, come succede in tanti sport, ma pur sempre di calcio trattasi. La palla è una, il campo pure, le porte sono due, le giocatrici in campo 22, il tempo dura 90 minuti, le divise sono uguali a quelle dei maschietti, gli inni nazionali anche, i nomi delle squadre in cui giocano pure, ma i diritti no. Quello che si dice è che, se dovessero essere trattate come professioniste, alcune società storiche, minori, che hanno fondato il calcio femminile, rischierebbero di sparire. Ma che ragionamento è? Anzi, se tutto va bene, sarà proprio dal calcio femminile che potrebbe arrivare un benedetto freno a quelle speculazioni indecenti di danaro che accadono nel calciomercato maschile. Forse è per questo che hanno paura di equiparare i diritti, perchè rischia di mettersi in discussione un sistema maschilista, sessista e speculativo?
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