Il mercato invernale è alle porte e, la prima notizia da chiacchiericcio e processo mediatico con tanto di accusa e difesa proviene ’Inghilterra, difatti, nell’ultima settimana ha destato molto scalpore il passaggio di Virgil Van Dijk dal Southampton al Liverpool dietro il modico corrispettivo di 76 milioni di sterline, al cambio circa 85 milioni di euro. Affare per cuori forti ma, soprattutto, per nostalgici e tradizionalisti puri, per tutti coloro che possono annoverare le regole sacre contenute nel vademecum del buon tifoso con buon senso, dagli immortali “La gente muore di fame e questi spendono i milioni per un calciatore”, “Ormai è tutto sporco”, passando per il più classico degli interrogativi di nuova generazione “E il Fair Play Finanziario?”.

Potremmo spendere ore e forse settimane intere ad interrogarci sulle qualità tecniche del centrale olandese e, soprattutto, a chiederci se quest’ultime giustifichino un investimento così importante ma, quello che deve farci riflettere è che questo genere di operazione ha sconvolto solo l’Italia, a dispetto delle dichiarazioni di Mourinho, forse perché per un breve periodo Van Dijk è stato accostato anche ad Inter e Juventus, forse perché la campagna acquisti estiva del Milan e, i suoi conseguenti risultati, ci hanno intimato psicologicamente di non accogliere con ottimismo operazioni così onerose o, forse semplicemente perché ci stiamo rendendo conto che dalle nostre parti si fa un gioco mentre, negli altri paesi europei se ne fa un altro.

L’acquisto di Van Dijk è solo l’ultimo dei tanti acquisti “particolari” visti in Premier League, nessuno di essi può pareggiare le grand affair parisien di Neymar ma, ognuno può dare spunto ad un’attenta riflessione, specie in virtù della situazione attuale del calcio italiano. 

Tra mille domande e ad altrettante numerose ipotesi, si staglia l’unica verità: la Serie A è indietro anni luce e, solo la Juventus, può accreditarsi come club strutturalmente proiettato verso una dimensione societaria da terzo millennio. Mentre le milanesi riempiono i giornali di progetti pluriennali ponenti come fulcro del boom il mercato asiatico, le big d’Inghilterra hanno già creato “il loro mercato” e a lasciare perplessi è che i risultati sportivi non rappresentino la variabile dominante di questa “forbice” che si è venuta a creare.

SPONSOR. Al di là del volume economico delle sponsorizzazioni, quello che appare più dinamico in Inghilterra rispetto all’Italia è la visione delle stesse istituzioni sulle sponsorship, con una strategia volta all’accrescimento dell’ambiente individuale dei club per il progressivo miglioramento del campionato nel suo complesso, dopo aver esposto il proprio campionato allo “sbarco” di sponsor emergenti provenienti da mercati floridi come Under Armour e New Balance che hanno foraggiato finanziariamente i club in misura superiore rispetto a quanto accade in Italia, incredibile pensare che il Tottenham percepisca una base fissa di 10 milioni da Under Armour contro i soli 3,75 che Nike verserà nelle casse dell’Inter nell’ultimo anno, la Premier ha introdotto un’ulteriore novità non banale, ossia gli sponsor di manica che dovrebbero incrementare le entrate dei club del 20% del valore totale della sponsorizzazione, provoca una certa ironia quando si pensa che in Italia abbiamo tre leghe indipendenti, di cui la prima di esse commissariata con un presidente dimissionario che neanche hanno il tempo di trattare su certi argomenti.

STADI. Dall’inizio del 2000 il primo obiettivo a medio termine del calcio inglese è stato centralizzare i ricavi dello show acquisendo la proprietà degli impianti in parte cedendo i naming rights come nel caso di Manchester City e Arsenal, in parte esponendosi ad un finanziamento, strumento a cui in Italia si fa riferimento solo per sostenere una finestra di mercato o coprire ulteriori perdite accumulate. In Italia è troppa la miopia logistica della stessa politica italiana quando ci sono al vaglio progetti di ammodernamento infrastrutturale, è capitato al Milan con il comitato del Portello, alla Roma con il progetto via vai tra Tor di Valle e Tor Vergata completamente sminuito, o la stessa Inter che da anni vorrebbe applicare un accurato restyling di San Siro trovandosi intricata in un labirinto burocratico a tre parti con il Milan e il sindaco Sala.

 

 

VALORIZZAZIONE DEGLI EVENTI. È sufficiente chiedere : Coppa Italia o F.A. Cup? Un accostamento assurdo, senza margine di competitività, in Inghilterra l’F.A. Cup è un torneo ai limiti del sacro, talmente valoroso da far posticipare al mercoledì il campionato inglese, la finale si svolge nel tempio di Wembley ed è un appuntamento seguito e atteso in tutta Europa, sponsorizzato da Emirates e , la sua conquista possiede un peso assolutamente egualitario a livello di prestigio sotto il profilo di una cosiddetta “stagione vincente”, anche in termini economici la sfida è senza possibilità di repliche: il montepremi totale della competizione più antica d’Inghilterra ammonta a 15,3 milioni, quasi il doppio rispetto agli 8 incassati dalla Juventus dopo il suo ultimo successo contro la Lazio. La formula del “sorteggio integrale” degli inglesi permette di assistere fin dal primo turno a sfide interessanti ed è il perno principale per poter rendere appetibile la competizione in termini di diritti tv, gli accordi con BT Sport e BBC garantiscono un ammontare totale di 200 milioni di sterline, contro i “miseri” 50 della Coppa Italia. Gli stadi moderni come scenario televisivo del prodotto da vendere sono poi un vero e proprio macigno da contrastare nelle partite di Premier, dove una squadra come il Tottenham può vantare entrate annuali tra i 78 e gli 89 milioni di sterline annuali.

PROTEZIONISMO INGLESE DEI CALCIATORI. Una curiosissima statistica riguarda la circolazione monetaria tra club nello stesso sistema calcio inglese riguardanti i calciatori più significativi del campionato, britannici e non. Dopo l’affare Van Dijk, è stato calcolato che negli ultimi il Liverpool, con l’acquisto di ben sei giocatori dal Southampton(Van Dijk, Mane, Lallana, Lovren, Clyne e Lambert) ha immesso nella società dei Saints ben 168,5 milioni di sterline. Allontanandoci da Liverpool possiamo anche notare come l’esplosione di Lukaku, nonostante la presenza di Raiola e un interesse su scala globale, sia stata sempre gestita all’interno della Premier tra Chelsea, Everton e Manchester United infine, o come Walker, Sterling, Mata, Van Persie, Lampard ecc... curioso pensare a come in Italia i presidenti delle cosiddette piccole abbiano utilizzato gli ostacoli economici delle big come arma per garantirsi proventi da club esteri ben più ricchi sminuendo il livello generale e privando il campionato italiano delle sue stelle, ultimo il caso Belotti, una valutazione da 100 milioni che ha solo gravato sul rendimento del ragazzo e una deliberata volontà da parte del presidente Cairo di non venderlo in Italia, prima dei casi Verratti, Darmian, Pastore, Keita, Sanchez ecc... stelle del nostro campionato andate ad arricchire il marketing di quelli che dovrebbero essere i nostri competitor mentre in Italia ci si punta ancora il dito sulla questione degli stranieri.

 

 

Dati economici e comportamentali che dopo un’attenta valutazione rendono l’affare Van Dijk meno “scandaloso” e più utile ad un’altra riflessione, ossia che, il calcio è diventato un’industria già da tempo ma se una volta eravamo manager di questa industria, oggi a livello italiano, a parte alcune minuscole eccezioni, siamo diventati solo modesti impiegati senza conclamate abilità risucchiati nel vortice di problematiche sociali ed idealistiche che, nel resto d’Europa sono già storia archiviata.

 

LM