“Peggio di quelli del 2017”. Brutta roba diventare un modo di dire tra le generazioni future. L’Italia di Ventura farà tutti gli scongiuri del caso, ma il rischio di sostituire nell’immaginario collettivo la nazionale del 1958, esempio negativo azzurro per antonomasia, è concreto. Dio ci scampi, però alcuni segnali e similitudini sulla strada verso i mondiali di Russia 2018 lasciano un cattivo sapore in bocca. L’Italia del ‘58 è stata la prima compagine azzurra a non qualificarsi sul campo ai mondiali. Già nel 1930 eravamo rimasti a casa, ma solo perché la spedizione costava troppo. Oggi sarebbero i risultati a condannarci. Occhio ai cattivi auspici... Se per esempio dall’urna degli spareggi mondiali saltasse fuori l’Irlanda del Nord, toccare ferro sarebbe gesto prudente. Proprio l’Irlanda del Nord ci aveva escluso dai mondiali di Svezia 58. Nel girone a tre con il Portogallo, all’Italia sarebbe bastato un pareggio a Belfast per staccare un biglietto per Stoccolma. Un pareggio che gli azzurri avevano già ottenuto, ma il 2 a 2 del dicembre ‘57 non era stato omologato. Mancava l’arbitro ungherese Zsolt, rimasto bloccato all’aeroporto di Londra a causa della nebbia. La FIFA aveva poi bocciato la proposta di giocare con un arbitro locale; gli irlandesi non l’avevano presa benissimo e, durante un’amichevole disputata comunque, avevano riempito di botte i nostri. Il commissario tecnico Alfredo Foni, senza far tesoro della brutta esperienza, a gennaio aveva schierato a Belfast una nazionale zeppa di oriundi dai piedi buoni come Schiaffono, Ghiggia e Montuori, poco a loro agio sul terreno pesante e senza la cattiveria dei nord irlandesi. Risultato 2 a 1 per i padroni di casa e italiani seduti nei bar a guardare in Tv Edson Arantes do Nascimento diventare Pelè. Paragonare Ventura a Foni, che comunque vantava due scudetti alla guida dell’Inter, forse è prematuro, ma le ultime partite con Spagna e Macedonia hanno evidenziato una certa confusione nell’attuale ct azzurro. La risicata vittoria con l'Albania cambia poco. Voler esprimere un calcio spumeggiante con ali che spingono e palla veloce a centrocampo è lodevole, ma si scontra con la dura realtà della serie A, dove la scelta è limitata. Il Napoli, che gioca il miglior calcio in Italia, mette in campo il solo Insigne, che in nazionale stenta, più nove stranieri e l’oriundo Jorginho, metodista dal cervello rapido fuori dal giro azzurro. La Juve va un po’ meglio, ma nemmeno troppo: la carta d’identità non depone a favore degli azzurri bianconeri. Due finali di Champions perse male hanno inoltre minato un po’ le sicurezze di Buffon e compagni. Certo, sperare che la Nazionale si trasformi al momento giusto è doveroso, ma il sistema calcio italiano comunque dovrebbe fare una riflessione. Il terzo posto al mondiale Under 20 e lo stesso risultato all’Europeo Under 21 raccontano un movimento nel 2017 ricco di giovani buoni giocatori. Buoni, non eccezionali e sicuramente lontani da diventare campioni. Quando le partite contano, Spagna, Inghilterra e Germania, per citare la sola Europa, sono più avanti. In cosa? Principalmente esperienza, tecnica e ritmo. Se si vuole vivere da eterni piazzati, possiamo accontentarci, ma se azzurri e società nostrane ambiscono a tornare sul tetto del mondo e d’Europa, serve altro. Alle squadre italiane per anni è mancato sopratutto il ritmo. Napoli e Atalanta hanno dimostrato come anche in Italia si possa giocare a cento all’ora senza fare troppi calcoli, ma a Bergamo e sotto il Vesuvio manca ancora l’esperienza. Sarri e Gasperini proseguono sulla strada tracciata da maestri come Sacchi e Lippi, quando Milan e Juve giocavano in Europa al doppio della velocità degli avversari. La Juve di Allegri ha maturato l’esperienza giusta, ma va sotto contro squadre più tecniche, perché le difetta il ritmo per compensare la mancanza di un centrocampo con Modric, Kroos e l’insospettabile Casemiro. Insomma, i pezzi ci sono ma completare il puzzle è ancora difficile. Le squadre B, tirate di nuovo in ballo dal presidente della FIGC Tavecchio, sarebbero un buon inizio. In Spagna hanno funzionato, formando calciatori pronti per le prime squadre. I nostri giovani giocano contro i pari età in Primavera, quando dovrebbero confrontarsi con marpioni navigati e “cattivi” in Lega Pro e serie B. Possibilmente sotto l’occhio attento delle società proprietarie dei cartellini, senza affrontare l’ordalia di un prestito dopo l’altro senza certezze di utilizzo. Anche creare accademie sul modello di quelle francesi e tedesche sarebbe utile. Sempre che si torni a privilegiare il pallone e la tecnica. In giro per l’Europa si vedono troppi giocatori che stoppano il pallone meglio della media della serie A. E se stoppi male, giocare bene e veloce è impossibile. Servirebbe però una profonda rivoluzione per vedere squadre B e accademie. Rivoluzione scatenata da una “tragedia” come quella temuta da Tavecchio. Mondiale da spettatori e tempo per riflettere. In quest’ottica, perfino un altro “disastro di Belfast” potrebbe rivelarsi un male necessario. Guardando il bicchiere mezzo pieno, “Ventura e quelli del 2017” interpreterebbero i tragici eroi dopo i quali tutto è cambiato. Meglio che diventare solo un modo di dire.