Mediano, colui che sta nel mezzo, come da definizione di qualsiasi dizionario italiano, una collocazione non di certo dispregiativa perché, a detta dei latini, "in medio stat virtus" e perché, da che mondo è mondo, si va avanti grazie al lavoro di chi suda, giorno dopo giorno, nelle retrovie. Se Klas Ingesson avesse lasciato l'ultimo messaggio sulla scrivania, prima di morire, probabilmente avrebbe chiesto di essere ricordato come uno che faceva il suo mestiere, ogni giorno, con il massimo impegno e con la massima professionalità. Uomo tutto d'un pezzo, fisico possente e freddezza nordica, Ingesson ci ha lasciati il 28 Ottobre, sconfitto da un mieloma che lo tormentava ormai da anni. "Il gigante buono", come veniva chiamato ai tempi di Bari, non ce l'ha fatta. La sua scomparsa ci fa sentire tutti un po' più vulnerabili dato che, anche i giganti, crollano a cospetto del male. Klas, oltre al suo metro e novanta di altezza per ottantasei chili, era cuore e grinta, giramondo nei principali campionati europei: Olanda, Inghilterra, Francia e Italia. Bari lo ha amato alla follia: in serie A, inizialmente, e successivamente in serie B, dove, con otto reti, è stato uno dei principali artefici della risalita dei pugliesi. Massiccio, muro invalicabile del centrocampo, ma anche un buon piede destro e una proverbiale freddezza quando si faceva sul serio, dagli undici metri, dove raramente sbagliava di fronte al portiere. Il Bari era zeppo di talenti e nomi importanti ed era guidato da un allenatore solido come Fascetti ma il silenzioso Ingesson aveva un posto speciale nel cuore dei tifosi, per quel suo dare tutto in campo, come un buon mediano che si rispetti. Tre anni soli con i biancorossi, quattro complessivi in Puglia, perché il buon Klas è stato anche a Lecce, dopo aver indossato la maglia del Bologna, amato anche lì, dagli acerrimi rivali dei galletti. Quando Eugenio Fascetti lo nominò capitano, lui, smarrito, gli rispose: "Mister, ma non so parlare italiano" e il saggio allenatore ribatté: "Non importa, fallo col cuore". D'altronde, di cuore ne aveva tanto lo svedese, anche dopo la fine della sua carriera, a soli 33 anni. Aveva cominciato a convivere col mieloma ed era stato costretto alla sedie a rotelle. Lui, geometra di centrocampo che aveva portato la Svezia fino al terzo posto nei Mondiali di Usa '94, iniziava a indebolirsi sempre di più. Intanto l'Elfsborg credeva in lui e dopo una storia costellata di guarigioni e ricadute, decideva di dare l'addio definitivo alla panchina dei svedesi proprio qualche giorno addietro, il 10 ottobre. Klas aveva da tempo cominciato a perdere pezzi, le sue ossa si fratturavano, la sua immagine felice, mentre in carrozzina "calcava" il prato di gioco, si sbiadiva e le forze venivano meno. La sua immensa statura, come uomo e come giocatore no, quella non potrà mai venire meno e i tifosi italiani, che lo sanno, non possono non piangerlo.