Il calcio è espressione popolare, un mezzo per ritrovare antichi valori. Passione, campanilismo, gioie e dolori, ricordi ed emozioni che solo la fede calcistica può dare. La Nazionale dovrebbe essere l’espressione più alta ma, in passato come oggi, ha valori che nel popolo azzurro vengono recepiti in maniera opposta. Da un lato la fede e la passione, che si ripete ad ogni Europeo o Mondiale, dall’altra la critica feroce per scelte tecniche, risultati sportivi e la questione morale. Aspetti diversi che in modo trasversale rispecchiano lo stato di salute del nostro calcio. Un calcio cambiato, malato. Il mezzo che muoveva le folle, espressione del popolo è diventato freddo, asettico e soprattutto lontano dalle favole, che fino a pochi anni fa abbiamo visto e sentito. Un calcio per pochi che con arroganza entra a gamba tesa su tutti gli ultimi romantici. Quest’ultimi rivivono la propria passione su campi di terra, lontano da latinismi, frasi fatte, scandali e sterili teatrini, seguendo la propria fede gestita in prima persona. I Supporters Trust sono il primo passo per cambiare tutto ciò che non piace, di prendere in mano la propria fede, di tornare a raccontare sogni, favole e gesta tecniche. In Italia sono poche le realtà aperte verso i propri tifosi, che molte volte sono quasi un peso, ma possono essere una risorsa di idee per cambiare e migliorare l’universo calcistico italiano. La Nazionale è espressione del nostro calcio. Nella mente vive ancora il percorso fatto ai Mondiali brasiliani e sulla pelle brucia il post fatto di polemiche, dimissioni e le scelte per il nuovo corso. Tavecchio e Conte. Nelle scorse settimane è arrivata la squalifica dall’UEFA, sei mesi, per le frasi pronunciate durante il discorso di presentazione della candidatura a capo della Federcalcio. Si era detto gaffe, oggi il calcio italiano ha subito l’ennesima onta e non serve commentare o giudicare. La sentenza è l’ennesima macchia per il nostro calcio e ogni commento sarebbe superfluo. Conte arriva da un calcio diverso, quello fatto alla fine degli anni 70 - 80 dove esisteva una idea e la si portava avanti attraverso il sacrificio. In quegli anni le società erano meno strutturate ma all’interno avevano le capacità manageriali che oggi il calcio tricolore invoca senza poi portali in campo. Esisteva una filiera e gli allenatori erano dei maestri. L’allenatore della Nazionale ha molto di quel calcio, sia per la sua carriera da calciatore che per il carattere. Il lavoro di Conte non si discute, era l’unica scelta logica in una estate di confusione e polemiche. I risultati del campo parlano chiaro, 4 vittorie su 4 eguagliando il record di Azeglio Vicini. Se da una parte si vince dall’altra si perde. Si perdono calciatori italiani che vanno all’estero, si prendono calciatori stranieri che non convincono, si perdono giovani calciatori italiani tra under e minutaggio, si prendono i contributi federali. Il calcio italiano va cambiato ma se le scelte strategiche sono altre è inutile dare voce senza poi passare all’applicazione.