La chioccia che esalta, l'esperienza che fortifica. Concetti semplici e lungimiranti accompagnarono l'acquisto del 33enne terzino francese nell'estate 2014 per 1,2 milioni di sterline. Lo scetticismo, come sempre, dilagò a profusione tra il popolo di fede juventina: i proclami di ringiovanimento nell'allora recente CdA bianconero cozzarono violentemente con l'annuncio di quel colpo al retrogusto di polvere. I primi a risentirsi di quell'acquisto furono i giovani tifosi, la fetta che di anno in anno si allarga ed incrementa i follower di ciascun team, il futuro che si coltiva nel presente. Fu un autentico bombardamento di critiche e commenti negativi, gli stessi che fino ad oggi hanno accompagnato settimanalmente le prestazioni del n°33 della Juventus. Un calciatore visibilmente rallentato, ormai incapace di schizzare via sulla fascia e di saltare l'uomo come aveva ben abituato Sir. Alex Ferguson all'Old Trafford di Manchester. Il fantasma del suo passato, che conservava con se una speranza, quella maturità latitante nella fase difensiva, la conclamata diagonale a copertura del primo dei due centrali, schemi e posizionamenti di un modulo che prima Conte e poi Allegri hanno sperato di poter schierare a variante dell'inossidabile 3-5-2. Eppure, incredibile a dirsi, la difesa a quattro è sempre stata una chimera: Lichtsteiner ed Evra hanno interpretato prevalentemente il primo e il quinto di un centrocampo a cinque, esterni alti con obbligo - non licenza - di arretrare per chiudere le ripartenze avversarie. Non alibi ma dati di fatto concreti. Patrice Evra nelle sue 82 presenze totali in maglia bianconera ha disputato la maggior parte delle partite come ala o come centrale in una difesa a tre, in casi estremi e di emergenza. Rare e perennemente sottotono sono state le occasioni nelle quali ha potuto esprimersi nel suo ruolo naturale. Una parabola inevitabilmente in discesa, ma d'altronde era preventivabile da chiunque viva da anni all'interno del mondo del calcio: l'acquisto di Patrice Evra mirava soprattutto alla crescita di una consapevolezza collettiva, calciatori giovani come Rugani senza ombra di dubbio hanno saputo beneficiare dei consigli e della professionalità di chi, in allenamento, non si è mai risparmiato. Tuttavia, sebbene in campo non lasci una traccia evidente, fuori dal campo si trasforma a poco a poco nell'incredibile Zio Pat: siparietti con Pogba, momenti esilaranti, ispirazioni e frasi di grande impatto. L'esperto si trasforma in mascotte, da ultimo arrivato si trasforma in leader massimo: dopo la sconfitta col Sassuolo e i bianconeri in fondo alla classifica nello scorso campionato 2015/16, inizia a fortificarsi l'idea di un Evra sempre più simbolo di questa Juventus. Si spinge perfino a rilasciare un'intervista nella quale promette a sé stesso di voler vincere la Champions. Di voler andare fino in fondo. Sembrava vero. Ma di colpo piovono i silenzi. Evra non parla più, adesso è l'agente a dar voce al suo assistito attraverso i mass-media. In pochi giorni, Evra passa al Marsiglia. Scatta l'ora, come sempre, di dirsi esattamente Le Cose Come Stanno, con una certa onestà intellettuale: valutando esclusivamente la linea temporale percorsa in bianconero, Patrice Evra si è dimostrato un calciatore tanto mediocre quanto intelligente, capace di far breccia con l'astuto utilizzo dei social sui quali, a ritmi forsennati ha dispensato video & selfie, riuscendo ad accaparrarsi lo spropositato entusiasmo di chi fin dal principio lo ha sempre messo in discussione, quei tifosi più giovani pazzi del suo stile e del suo slang, in una netta ed evidente contrapposizione con le prestazioni sul campo. Per ogni dichiarazione da leader rilasciata durante le interviste c'è sempre stato un rendimento assolutamente dimenticabile sul rettangolo verde. Ad aggravare il quadretto compaiono un lauto stipendio e l'investitura del "grande uomo spogliatoio". L'uomo che, improvvisamente, è scappato dopo un mese di panchina dietro ad uno degli esterni sinistri più straripanti e completi del momento nel panorama mondiale, tale Alex Sandro. Inizia ad essere difficile tenere il conto delle contraddizioni, più semplice osservarne la sostanza, scarsa all'improvviso. Patrice Evra ha il pregio di farmi tornare bambino e rivivere le sensazioni che provai leggendo del grande e potente Mago di Oz, fumoso, imponente, autorevole ed autoritario. Salvo poi scoprirlo, con delusione, come una grande proiezione di un piccolo e fragile omuncolo. Come il tanto fumo che abbandona l'arrosto, disperdendosi nell'aria. Un ricordo sbiadito che non lascerà una reale traccia nel tempo. Nessun "au revoir". Per fortuna, aggiungerei. MC