La Roma giallorossa saluta, in una cornice di pubblico incredibile, quello che per più di vent’anni è stato il suo Capitano e punto di riferimento: Francesco Totti. Uno dei miei più grandi crucci è stato di non poter apprezzare fino in fondo il talento di Totti: ebbene sì, perché per me Francesco è sempre stato un “nemico” sportivo e le sue prodezze nella Roma le ho sempre viste da Juventino che, per quanto appassionato della bellezza del calcio, a fatica “gode” per le prodezze di un avversario, specie poi se quest’ultimo fa parte di una delle cosiddette “rivali”. Due però le occasioni in cui mi ha fatto esultare: per quel rigore in Australia Italia, vera chiave di volta del vittorioso mondiale tedesco e per quell’indimenticabile cucchiaio in Olanda Italia agli europei del 2000. Due momenti che ricordo sempre con grande gioia e che mi danno consapevolezza di essere un privilegiato per aver potuto osservare dal vivo un talento di questo calibro. Abbandona la “sua” Roma una “bandiera” di un calcio che sta purtroppo smarrendo il senso di appartenenza a favore di quisquilie di sponsor e fattori economici che portano i calciatori a muoversi come pedine di un calciomercato mondiale; Totti è diventato uno dei simboli del calcio italiano nel mondo, le sue prodezze hanno fatto innamorare di lui molti calciatori e addetti ai lavori del mondo del pallone. Un addio annunciato una stagione fa, all’atto del rinnovo, ma mai totalmente somatizzato da Totti, che ha sempre fatto capire che il commiato alla Roma è giunto non per una sua espressa volontà ma per spinte da parte della società. Nonostante i 40 anni compiuti quest’anno, Totti credeva (e probabilmente crede) di poter dare ancora un contributo alla Roma; quella Roma per cui, nell’arco della sua carriera, non ha ceduto alle lusinghe dei numerosi club europei che, a intervalli costanti, presentavano offerte faraoniche per accaparrarselo. I tifosi lo hanno sempre coccolato, difeso e portato sul palmo della mano anche per questo suo amore incondizionato per la maglia, l’unica che (al momento) ha vestito nell’arco della sua carriera professionistica. Inutile che io elenchi quelle che erano le sue capacità tecniche, in questi giorni molti più indicati del sottoscritto ci hanno pensato; il mio pensiero su Totti è che, forse, si sarebbe già dovuto ritirare tempo addietro. Nella fattispecie due anni fa: dopo quella meravigliosa doppietta nel derby tutti avevano l’immagine di un Totti ancora dominatore, seppur in fase calante; ora invece, almeno personalmente, mi rimane l’immagine malinconica di un campione che constata l’impossibilità di cristallizzare il tempo e l’età che inesorabilmente avanza. Un campione che fatica a riconoscere che il contributo che può offrire alla sua squadra non è più quello di un tempo. In questi ultimi due anni Totti ha quindi conosciuto la panchina, che quasi mai gli era toccata in tutta la sua carriera. Spalletti, con il quale si vocifera il rapporto non fosse buono, è stato per assurdo l’unico che ha veramente rispettato Totti nella sua scelta di proseguire e l’ha fatto in un modo molto semplice: trattandolo da calciatore, come tutti gli altri, e non da reliquia da esibire a mo’ di totem negli stadi avversari. Il tecnico di Certaldo ha messo in evidenza una verità amara ma pur sempre una verità: alle indubbie qualità tecniche di Totti, che gli resteranno per sempre, non andava trascurato un inevitabile declino fisico che, in un calcio come quello moderno fatto di corsa e fisicità, risulta determinante. Un calciatore ancora fenomenale ma per il quale era impensabile un impiego “full time”, che avrebbe significato sacrificare la squadra in determinati momenti delle partite. Totti per Spalletti è diventato il grimaldello degli ultimi minuti di gara per risolvere le partite grazie alle sue intuizioni; ruolo accettato nella passata stagione, mentre in quella appena conclusasi molto meno, con un Totti sempre più distante dalle dinamiche di squadra e che ha trovato alleati esterni (ad esempio, il pubblico di San Siro) a giustificazione del suo malessere. Della Roma di questa stagione è passato in secondo piano il numero di partite vinte, l’aver tenuto testa alla Juventus fino alla fine, l’aver conquistato in via diretta i gironi di Champions; tutta la stagione è stata vissuta dalla stampa e dalla gran parte del mondo romanista in funzione del ritiro, prima ventilato poi confermato, di Francesco Totti. I personaggi “autorevoli” che hanno continuato a far passare il concetto che l’utilizzo di Totti alla Roma non era idoneo a mio avviso non gli hanno fatto un buon servigio: i campioni vanno rispettati, ricordati con affetto ma non difesi con quella protezione materna che il mondo romanista ha riservato nei confronti di Francesco Totti che, sotto questo punto di vista, ha vissuto queste ultime stagioni in una sorta di mondo ovattato che non gli ha fatto osservare la realtà dei fatti. Un calciatore ha tutto il diritto di voler ancora giocare ma non può pretendere che sia la sua squadra, seppur egli abbia donato la vita per essa, a potergli garantire un impiego e un ruolo che non può più ricoprire. Se posso attribuire una “colpa” a Totti è forse quella di aver alimentato troppo questa assimilazione della sua figura a quella della Roma: i calciatori passano (purtroppo nel caso di Totti), la squadra resta e il fatto che ieri all’Olimpico ci fosse il tutto esaurito, dopo anni, solo per Totti e non per la Roma è sintomatico; se Totti dovesse quindi decidere di non proseguire la sua carriera nei quadri dirigenziali giallorossi, ci sarà un periodo di grande difficoltà per il mondo romanista e, di riflesso, per la squadra tutta che di colpo si troverà orfana di un punto di riferimento essenziale, l’unico arci protetto da un ambiente caldissimo che mai ha lesinato critiche a squadra e società. Vedremo quindi quale sarà il prossimo capitolo da scrivere nella carriera di Francesco Totti; personalmente non mi resta che rinnovare la mia stima nei suoi confronti e porgli il più sincero in bocca al lupo per il prosieguo della sua vita; campioni di questo calibro difficilmente si rivedranno a breve.