Il calcio italiano non è morto. Non lo è mai stato e speriamo mai lo sarà. Ci sembrano ormai poco nitide le immagini del trionfo di Berlino di Marcello Lippi e la sua truppa azzurra ma in realtà 11 anni sono in pratica 2 mondiali sbagliati dopo quella coppa. Troppo poco per dare del morto al nostro calcio, anche se le spedizioni di Sud Africa e Brasile sono state dei flop clamorosi. Ma che si stia vivendo un periodo di profonda crisi, questo è evidente. I motivi sono parecchi, a partire da gestioni scriteriate che hanno portato squadre nobili a ripartire dal sesto, settimo posto e a fare stagioni da provinciale qualunque. Milan e Inter non esistono più da anni e sperano di ripartire grazie ad investimenti asiatici che portano tanti soldi; la Roma grande probabilmente non lo diventerà mai così come il Napoli: piazze troppo calde, tifosi troppo presenti che non permettono ad un ambiente di lavorare e di crescere. E' il bello del nostro calcio provinciale ma non è un caso se in Italia vincono solamente le tre meno tifate nella propria città (Milano essenzialmente è divisa in milanesi e non, quindi con poca presenza massiccia di soli interisti e/o milanisti). Il problema economico è forse il più grande. Debiti che hanno smantellato rose, storie recenti cancellate e bandiere cacciate anzitempo. Presidenti possessivi che hanno trattenuto nel limbo squadre ormai svuotate e progetti affidati ai soliti noti che erano abituati ad operare in situazioni diverse. Ma la vera crisi è sul campo: livelli troppo bassi, troppo poco allenanti anche per le squadre che dovrebbero competere in Europa. L'emblema del nostro calcio sono le cosiddette "favole". Abbiamo seguito e ammirato la favola del Chievo Verona di Del Neri e l'abbiamo accolta come una luce abbagliante: un tecnico preparato, tanti calciatori semi sconosciuti diventati simbolo di un calcio che non è tutto denaro, un presidente amato e presente, preparato e razionale. Ma le favole finiscono qui. Non reputo favola una squadra come il Sassuolo, progettata da maestri di sport, con un budget smisurato rispetto alle concorrenti di medio-bassa classifica. E quando non la si reputa una favola, si fa solo un complimento alla squadra di Squinzi. Negli ultimi anni troppe squadre partite dalla Lega Pro (o allora Serie C) sono riuscite nella scalata di arrivare a giocare in stadi come San Siro o alla Juventus Stadium, rischiando di fare figuracce epocali. Alla Serie A ormai le "matricole" non fanno bene, non servono. Dal magico Carpi targato Castori al Frosinone, matricole che sembravano poter riscrivere la favola che fu del grande Chievo Verona dei primi anni 2000. E invece nulla di simile: un campionato da dimenticare, qualche acuto, qualche gioia storica ma subito nel baratro della B dove puoi anche perderti del tutto. Fu il caso del Cesena, è stato il caso di questo Carpi, incapaci di ripartire. Fu l'annata storta del Verona, che di Serie A ne ha masticata tanto. Incappato in un campionato del tutto negativo, ritornerà e merita di ritornare tra i grandi e lottare per la salvezza. Quest'anno abbiamo forse più che mai toccato il fondo. Non ingannino i risultati del Crotone di aprile (11 punti, al pari di Napoli e Juventus), non basteranno quasi certamente ad evitare una retrocessione dovuta a 7 mesi inguardabili. Si è fatta la lotta al peggiore, a dimostrare di essere la ventesima squadra del campionato. Un Palermo smantellato di anno in anno da un presidente tanto capace a scovare talenti e saperli valorizzare, quanto a non capire come si gestisce una società di calcio, con i soliti dieci allenatori cambiati, fiducie date e fiducie tolte, dichiarazioni da prima pagina in cui si sognava in grande e bordate in sala stampa a chiunque fosse tesserato: non ha fatto altro che il male dei rosanero, ai quali non serviva l'Europa per diventare grandi ma sarebbe bastato un campionato da metà classifica, dove una città come Palermo merita di stare. Un Pescara che non ha mai capito di essere in Serie A, a partire da un mercato ingiustificabile, un atteggiamento del tutto fuori luogo e un'organizzazione che ha del pessimo. Quanto meno sono stati cambiati soltanto due allenatori, con comune denominatore della sconfitta: una vittoria a tavolino e una dopo il cambio di allenatore contro la squadra che "ad disonorem" meriterebbe la B. Una Serie A da far rabbrividire negli ultimi 5 posti, tanto da far salvare due squadre, Genoa ed Empoli, che hanno fatto di tutto per scendere nella serie cadetta. La prima rappresenta lo scempio del calcio italiano. Non c'entrano i tifosi, né i calciatori. Anche qui, come a Palermo, chi sbaglia siede sopra tutti: un campionato degno fino a dicembre e poi, appena si riesce a capire che la salvezza può essere raggiunta anche non giocando vista l'inferiorità imbarazzante delle avversarie, vende tutta la squadra e la rifonda. Via i migliori, dentro quattro presi dai bassifondi e soprattutto dentro tanti milioni che, come quelli di Zamparini, vanno a finire nei conti in banca personali senza pensare alla squadra. E poi c'è l'Empoli, che appena ha sentito puzza di bruciato col Crotone in vena, ha iniziato addirittura a vincere compiendo delle mezze imprese contro le macerie di Fiorentina e Milan. Ma non possiamo dimenticare gli 0 gol fatti in 10 delle prime 11 giornate, segnando solamente due gol al Crotone e segnando alla dodicesima 4 gol a Pescara.... giusto per sottolineare il livello. Mancano piazze solide come fu il Parma prima del disastro finanziario, mancano le provinciali come furono gli ultimi Bari e Lecce, come furono il Brescia di Baggio e Mazzone o il Venezia di Recoba e Maniero. Mancano piazze come Catania, calde da essere quasi invincibili in casa, trampolini di lancio di allenatori come Simeone, Montella e Mihajlovic oppure di calciatori come Papu Gomez, Barrientos, Ciccio Lodi. Quella era la Serie A, a lottare contro squadre arcigne che difendevano con onore il proprio stadio, sempre difficile da espugnare. Questa deve essere la Serie A. Altrimenti andrebbe fatto qualche taglio, qualche riduzione. In questo campionato sarebbe meglio avere 18 squadre, di cui due materasso, piuttosto che 20 con 4 squadre che fanno punti solo tra di loro. Come fu fino al 2002, quando il calcio tricolore era al top nel mondo. Ora daremo il benvenuto alla Spal, storica società ormai lontano da tempo dai riflettori della A. Squadra che in 12 mesi è passata dalla promozione in B a quella in A... sperando che non sia la solita favola senza lieto fine.