Nel calcio (e in particolare in Champions League) spesso a fare la differenza sono gli episodi; in particolare nella Coppa dalle grandi orecchie spesso la bravura della squadra non basta: per arrivare alla finale spesso serve anche una dose di fortuna e di episodi favorevoli.

Parlando della Juventus, in pochi forse si ricordano che tre anni fa, nell’anno della finale di Berlino, i ragazzi guidati da Allegri furono con più di un piede fuori dalla competizione.

Era la fase a gironi e, dopo la vittoria al primo turno contro il Malmö, seguirono due sconfitte esterne contro Atletico Madrid e Olympiakos; la prima gara di ritorno, a Torino contro i greci, risultava quindi fondamentale per il prosieguo nella competizione e una sconfitta avrebbe sicuramente decretato una nuova, deludente uscita di scena dopo quella dell’anno prima maturata ad Istanbul contro il Galatasaray. 

Nella gara contro l’Olympiakos, Allegri decise che fosse arrivato il momento di imprimere anche le sue idee di gioco alla squadra: da bravo tecnico, il livornese aveva sino a quel momento optato per un 3-5-2 di stampo “contiano” per dare sicurezza alla squadra; ebbene, quella sera optò per un 4-3-1-2 con Vidal schierato mezz’ala offensiva “alla Boateng”, modulo che da quella sera fu l’abito della squadra per il resto della stagione.

La partita si mette subito nel verso giusto con un bel gol di Pirlo, ma successivamente i greci ottengono il pareggio e, alla ripresa, passano in vantaggio. A quel punto la Juventus era quasi matematicamente fuori dalla competizione, ma fortunatamente, prima Llorente e poi Pogba riuscirono a ribaltare una partita data da molti per spacciata e a rimettere la Juventus in carreggiata: la vittoria in Svezia e il pareggio casalingo contro l’Atletico Madrid decretarono il passaggio del turno e ciò che dopo accadde è storia; la Juventus non si fermò più, raggiungendo un’incredibile finale giocata se possibile con più forza e consapevolezza di quella di Cardiff.

Quella fu, a mio avviso, una delle chiavi di volta della crescita in consapevolezza e qualità del gioco della Juventus in Europa: le critiche fanno bene e sono io il primo a muoverle se necessario, ma non dovremmo mai dimenticare da dove è partita la Juventus con Allegri; realtà consolidata in Italia ma profondamente deficitaria in Europa, laddove già il passaggio del turno veniva visto come un successo mentre ora è diventato un qualcosa di consolidato.
La squadra è cresciuta molto in termini di personalità e qualità dei calciatori in questo periodo, certamente c’è ancora del lavoro da fare e mi piace pensare che da questa stagione, in cui incontreremo di nuovo i greci, possa prendere definitivamente il volo una Juventus che si inserisca costantemente come minimo nell’élite europea.

Per fare questo, come già scritto in passato, occorre che tutte le parti in causa lavorino per fare quell’ultimo gradino di crescita necessario: la dirigenza, nel completare la rosa in tutti i reparti con innesti all’altezza delle ambizioni che nutriamo; l’allenatore nel dare alla squadra un’identità forte e nell’inculcare ai più giovani mentalità vincente nel più breve tempo possibile; i giocatori, soprattutto quelli più titolati, nel prendere per mano la squadra soprattutto nei momenti topici e di difficoltà e contribuire al conseguimento dei successi.