Si dice che sognare sia l'unico modo per rimanere per sempre un po' bambini, che sia quella strada che porta dritta alla nostra infanzia, dove tutto sembrava più vero, più chiaro, dove i limiti li segnavano solo quelle mura alla fine del giardino.
In una condizione in cui la mente volava oltre gli ostacoli, come una rondine in un cielo di maggio, magari nel pieno del tramonto, come un puntino nero sullo sfondo.
Non esistevano l'ansia, la preoccupazione di sbagliare, di fallire un colpo, perché tanto poi quando si cadeva ci si rialzava, seppur con le ginocchia sbucciate, con il sangue che bruciava un po', ma tanto si sapeva che non durava molto quel dolore, l'importante era dire alla mamma che andava tutto bene, e tornare a correre, tra le strade, le campagne, e chi più ne ha, più ne metta.

Poi però il mondo è cambiato, come un uomo che ad un certo punto si volta, decide di darti le spalle; tu lo chiami, lo rincorri, ma nulla, non ti sente... quell'ombra non è altro che il tempo che avanza, e se prima non ce ne rendevamo conto, adesso lo vediamo lì inesorabile, che ci costringe a crescere. Ma nonostante queste leggi della vita, infrangibili per chiunque, una parte di noi rimane lì, in quella fase infantile alla quale prima o poi, tutto ritorna: eh si, perché siamo ancora capaci di credere nella felicità, di illuderci e sognare.

Come l'areoplanino, Vincenzo Montella, tecnico del Siviglia, passato dall'essere etichettato come un flop al Milan, al vero e proprio decollo in Spagna, in piena connotazione al soprannome che gli venne attribuito quando solcava il rettangolo verde. Vincenzino però non si è limitato a sognare, ha aggiunto concretezza alla propria illusione, ha dato una forma ben precisa al proprio progetto: raggiungere i quarti di Champions League, a scapito di uno dei favoriti assoluti, lo special one José Mourinho.

Probabilmente nessuno avrebbe mai potuto immaginare un epilogo simile per il doppio match disputato tra gli andalusi e Red Devils, anche se già all'andata erano scattati un paio di campanelli d'allarme per gli uomini del tecnico portoghese, messi alle strette da Muriel e compagni, salvati solo dalle prodezze del numero 1 David De Gea.

Allo Stadio Ramón Sánchez-Pizjuán il tabellino rimase invariato per tutti e 90 i minuti, ma la superiorità degli spagnoli nel gioco, nella fluidità delle azioni, e nella facilità di raggiungere l'area avversaria, erano già dati importanti, che Mou non poteva non prendere in considerazione.

Ma è stato proprio il tecnico napoletano a credere nei propri ragazzi, in una trasferta sulla carta da "mission impossible", con protagonista Wissam Ben Yadder, Tom Cruise della situazione, che nei panni dell'agente della CIA americano, ha sbancato l'Old Trafford, con un due reti in pochi minuti, che sarebbero potute diventare anche tre, se non si fosse divorato il contropiede del ko, calciando sull'estremo difensore spagnolo.

Onore e gloria al tecnico ex Milan, che ha saputo dosare bene le forze dei suoi, in una sfida fatta anche di nervi, di mosse e contro mosse, dove rimanere concentrati fino all'ultimo istante, è il dovere di chi vuole vincere, per continuare a sognare in una competizione dove niente è semplice, ma nemmeno impossibile.

Sull'altra superficie della medaglia vediamo invece un uomo sconfitto, affondato nella proprio convinzione di essere davvero special, e che ha ormai perso quella caratteristica di vincente, che lo ha incoronato eroe nelle storie di Porto e Inter; quel José Mourinho, che continua a pretendere i migliori colpi sulla piazza, senza però ottenere nessun risultato degno di nota: secondo in campionato, ormai lontano dal portentoso City di Pep, distante come le stelle, irraggiungibili, come l'obiettivo Champions, sfumato ad opera del meno atteso tra i protagonisti.

Senza dubbio è certo che nella serata di ieri il teatro dei sogni si sia trasformato in quello degli incubi per il tecnico portoghese, che starà sicuramente chiedendosi ancora come sia potuta accadere una simile sciagura.

E mentre a Manchester si scatena la tempesta in casa United, i "Los Nervionenses", soprannominati così in patria, volano alto sulla scia del loro allenatore, su quel tragitto, che porta dritto tra le otto regine d'Europa, ai quarti di finale.