Luciano Spalletti è un grande allenatore. Poco importa che il suo palmares dica "solo" due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana con la Roma e due campionati russi, una Coppa e una Supercoppa di Russia con lo Zenit. Che Spalletti sia un grande allenatore lo si evince, nei tempi più recenti della sua carriera, dall'elasticità mentale con cui, quando le cose non andavano per il verso giusto, ha saputo modificare l'idea tattica originaria delle sue squadre.

Appena tornato alla Roma con la squadra in piena crisi ed eliminata dallo Spezia in Coppa Italia, il tecnico di Certaldo ha optato per l'esclusione di Edin Dzeko in precaria condizione mentale a vantaggio di due mezze punte mobili accanto all'intoccabile Salah come El Shaarawy e Perotti, prelevati a gennaio, per non concedere riferimenti agli avversari creando superiorità nella gestione del possesso palla accorciando la squadra. Ottenuto il pass per i preliminari di Champions League, che sembrava insperato al suo arrivo, la Roma inizia la scorsa stagione con un 4231 puro che, non perfettamente rispondente alle caratteristiche dei calciatori a disposizione, Luciano ha ben presto modificato in una linea difensiva a tre e mezzo evolvendosi definitivamente in un 3421. Spalletti d'altronde è uno studioso di calcio e sa assorbire come le spugne le nozioni tattiche impartite dai suoi colleghi, come Paulo Sousa, del quale ha apprezzato questa variante tattica ai tempi della sua prima stagione alla Fiorentina. Questa metamorfosi ha allungato la squadra ed esaltato le qualità dei tre difensori centrali Rudiger, Fazio e Manolas e ha limitato le carenze in fase difensiva di Bruno Peres ritrovatosi titolare dopo l'infortunio di Florenzi proponendo sull'altra fascia un Emerson Palmieri ad alti livelli. L'avanzamento di Radja Nainggolan sulla trequarti accanto a Salah, con De Rossi e Strootman a protezione, ha poi rappresentato la svolta tattica della stagione giallorossa, terminata sì con le cocenti eliminazioni in Coppa Italia ed Europa League inferte da Lazio e Lione ma anche al secondo posto con 87 punti e 90 gol segnati grazie a un sistema di gioco cucito su misura per ritrovare la straordinaria vena realizzativa di un Edin Dzeko da record tornato sui livelli di Wolfsburg e Manchester City.

Anche all'Inter, dopo un girone d'andata all'insegna del 4231 che l'aveva condotta in testa alla classifica a dicembre ma che la stava rendendo prevedibile e scolastica fino a febbraio, c'è il marchio di Spalletti: contro Napoli, Sampdoria e Verona l'Inter si è disposta con D'Ambrosio quasi sulla linea dei centrali, da terzino vecchio stampo, composta da Skriniar e Miranda e con Joao Cancelo alto sulla linea di centrocampo come i tornanti di una volta. Il centrale di destra, Skriniar, alterna così fasi in cui rimane più stretto e fasi in cui va a coprire il buco lasciato da Cancelo, il quale sganciandosi costringe D'Ambrosio a restare bloccato in copertura agendo da terzo difensore, come ha fatto il subentrato Santon nella ripresa, motivo per cui Dalbert sembra destinato a 9 partite di panchina (almeno finchè l'Inter non avrà raggiunto l'obiettivo Champions).
Ecco quindi, di nuovo, la difesa a tre e mezzo. L'avanzamento e la libertà di spinta concessi al portoghese hanno permesso a Candreva di accentrarsi accanto a Rafinha e dietro a Icardi per evitare il monotono copione del cross dell'italiano per l'argentino puntualmente intercettato dalle difese avversarie. La disposizione tattica dell'Inter più recente assomiglia a un 3421 con Cancelo e Perisic esterni di centrocampo, un centrocampo di grande densità con un Gagliardini d'inserimento sgravato da compiti di impostazione grazie a un Brozovic versione playmaker e un Rafinha abile nell'occupazione degli spazi intermedi tra centrocampo e attacco fungendo da vero e proprio collante. Spalletti ha trovato la quadra con la cerniera Gagliardini-Brozovic più Rafinha, e se per Rafinha era solo questione di tempo affinchè prendesse un posto nell'undici titolare, Brozovic si è riscoperto prototipo del centrocampista moderno dotato di dinamismo, interdizione e inserimento. Proprio giocando nei due di centrocampo, Marcelo è un titolare anche della Croazia, e l'auspicio di Spalletti è che l'indolenza che ne ha rallentato il processo di crescita lo abbandoni definitivamente. Anche perché Luciano non si è fatto problemi a far accomodare in panchina Borja Valero e Matias Vecino, centrocampisti che stima particolarmente e che aveva reso titolari inamovibili della sua Inter.

Un'Inter che si è ritrovata proprio nel momento più propizio e decisivo della stagione che deve ora conquistare la Champions, passando da un tour de force di 9 partite decisive in due mesi, e per farlo Spalletti si è affidato allo stesson sistema di gioco che tanti dividendi ha pagato a Roma, proprio quella Roma che contende insieme alla Lazio un posto in Champions alla sua Inter. Contro la Roma, sulle orme della sua Roma. La strada porta alla Champions.
Luciano e l'Inter adesso sono pronti.