In ogni sport, in ogni categoria, la retrocessione viene considerata come il simbolo di un fallimento. Vediamo la questione da un lato diverso, positivo, per una volta. Perché una discesa in Serie B all'Udinese, forse, non farebbe male. Perché? Perché forse dopo anni e anni di critiche il patron friulano Giampaolo Pozzo capirà che ogni stagione stravolgere la rosa e, soprattutto, acquistare giocatori da ogni angolo del mondo, nulla di male ma quando metti in un organico di 25/26 giocatori 15 nazionalità diverse, qualche difficoltà, anche di comprensione in campo, è normale che ci sia.
Se aggiungiamo poi che questi giocatori campi di Serie A negli anni precedenti non li hanno mai calcati e, soprattutto, molti di questi non hanno qualità eccelse, è normale che a poche giornate dalla fine la retrocessione non è un'ipotesi che rischia di concretizzarsi.

Ma torniamo al punto principale? Perché la B farebbe bene all'Udinese? Perché prima di tutto porterebbe Pozzo, almeno si spera, ad effettuare una vera e propria rivoluzione. Un progetto giovane, con giocatori italiani dalla carta d'identità ancora verde e affiancati da connazionali d'esperienza che sanno come si gioca un campionato italiano (vedi i vari Manuel Pasqual e Matteo Brighi a Empoli o Andrea Rispoli a Palermo solo per fare alcuni esempi di giocatori che calcano i campi di B in questa stagione, mentre a livello di squadra la Spal dello scorso anno insegna che il mix giovane-esperto serve).
E la storia recente della Serie A è piena di esempi di questo tipo. Negli anni '80 la Lazio ha giocato ben sei campionati in Serie B. Da quel terzo posto del 1987-1988 poi i biancocelesti non sono più tornati nel campionato cadetto, alternando grandi stagioni a tornei di media classifica. Ancora più recente è l'esempio del Chievo. Dopo le prime scintillanti stagioni d'esordio nella massima serie calcistica italiana, la formazione veneta nel 2006-2007 finì in B, un'esperienza che servì alla società del presidente Campedelli per ripartire con un nuovo progetto con giocatori navigati come Stefano Sorrentino e Alessandro Gamberini affiancati da nuovi prospetti come Mattia Bani e Roberto Inglese. 
L'Udinese non è più quello di dieci anni fa quando schierava nell'undici titolare, tra gli altri, Samir Handanovic, Alexis Sanchez, Totò Di Natale e in panchina era guidata da Francesco Guidolin. Ora i bianconeri sono una società che ha bisogno di ripartire, di azzerare gli ultimi brutti campionati e costruire un progetto giovane e che guarda al futuro, ma non solo a medio termine. Perché negli ultimi anni l'obiettivo è sempre stato quello.
Trovare un giocatore che attiri le attenzioni di squadre di medio-alta classifica (e qui vedi ancora Handanovic e Sanchez, ma anche Gokhan Inler, Cristian Zapata, Roberto Pereyra e Juan Cuadrado) così da effettuare una grande plusvalenza: il modello Pozzo è sempre stato chiamato. Ma questo sistema purtroppo ora non basta più. E quindi "una pausa di riflessione" non può far altro che bene ad un'Udinese che fino a cinque anni fa giocava la fase a gironi di Europa League e che nel 2011-2012 arrivò davanti a Lazio, Napoli, Inter e Roma.