Le speranze dei tedeschi, dopo la sconfitta nazista nella Seconda Guerra Mondiale, di poter vivere in tranquillità e prosperità, vennero ben presto oscurate da una situazione politica destabilizzante, che fece della Germania post WWII uno dei paesi più poveri e in crisi d'Europa. Alla luce di questa situazione, nessuno poteva nemmeno lontanamente pensare e dedicarsi ad attività salutari e divertenti, come ad esempio il calcio - lo sport più in voga durante tutto il XX secolo, e oltre naturalmente - e perciò la crisi finanziaria si legava a doppio filo con quella psicologica ed identitaria di un'intera generazione di uomini e donne prosciugata di ogni spinta vitale. C'era bisogno di uno scossone e in molti credettero che solamente il calcio, piuttosto che la politica, avrebbe potuto dare una svolta. ​​​​​Ma, almeno per il momento, questo desiderio non poteva essere esaudito. ​​​​​Dopo la fine della guerra, la Germania venne letteralmente smembrata in quattro zone poste sotto il controllo degli Alleati e il calcio, come qualsiasi altra forma di sport, di arte e di svago, venne messo al bando, vietando alla Nazionale tedesca di prendere parte a qualsivoglia incontro internazionale. Questo veto durò fino al 1951, all'indomani dei Mondiali in Brasile, e la sua cessazione permise alla Germania - divisa già ora calcisticamente, e non solo, in Est ed Ovest - di riorganizzarsi, seminando soprattutto a livello giovanile quei frutti che si sarebbero visti già nell'edizione 1954 della Coppa del Mondo, svoltasi in Svizzera. ​​​​​​

Di questa nidiata così precoce non faceva parte il già "anzianotto" Friedrich 'Fritz' Walter, già capitano di lunga data di quella Germania Ovest che avrebbe, nel 1954, messo in riga la "Squadra d'Oro" ungherese. La storia di questo personaggio racchiude una serie infinita di peripezie e colpi di scena, quasi fosse il protagonista di un romanzo storico manzoniano, intrecciati con un evento destabilizzante come la guerra, da cui nessuno poteva sentirsi immune. 

Dopo aver esordito in Nazionale in un Germania-Romania del 1940 terminato 9-3 (grazie anche ad una sua tripletta), Walter venne chiamato alle armi, nella temibile Wehrmacht, l'avazione tedesca, con compiti relativamente tranquilli - dovendo perlustrare alcuni isolotti del Mediterraneo (cosa che, peraltro, non gli impedì di avere gravi ripercussioni fisiche, ma ne parlerò più avanti nel racconto) - rispetto ad altri suoi compagni a cui andò decisamente peggio. Come accadde al giovanissimo Adolf Urban, uno dei talenti più fulgidi del calcio tedesco, inviato in Russia sotto il Maresciallo Von Paulus, da dove fece ritorno chiuso in un bara, dopo che decine di commilitoni avevano donato il proprio sangue per salvarlo. Oppure al fratello dello stesso Fritz, Ottmar Walter, uno dei 29 superstiti dell'abbattimento di un battello tedesco nel Mar del Nord: fu salvato dopo una lunga operazione e poté giocare la finale di Berna del '54 a fianco del fratello. Le speranze dell'allenatore Sepp Herberger di salvare tutti quegli straordinari talenti, spingendo affinché avessero vita facile durante quegli angoscianti anni, naufragò insieme alle aspettative di una nazione intera. 

Ritornando al protagonista della nostra vicenda, Fritz Walter uscì dal conflitto debilitato sia fisicamente che mentalmente. Contrasse la malaria, malattia che sconfisse ma che ebbe ripercussioni sul suo fisico, dato che soffrì tremendamente il caldo per il resto della sua carriera, e non a caso diede il meglio di sé con il cattivo tempo, tanto che fu coniato il proverbio "il tempo di Walter Fritz" per indicare la pioggia. Ebbe soprattutto paura di volare, avendo visto molti amici e compagni morire in volo durante la guerra, tanto che non volle mai più salire su un aereo, neppure per le trasferte.

Ma vi fu anche un altro aneddoto, che è il vero succo di tutta la nostra storia. ​​​​​​

Durante il conflitto, la Germania continuò a giocare alcuni match perlopiù contro Nazioni occupate o alleate, ed è proprio ciò che avvenne nel 1942 contro la già forte Ungheria: 1-3 dopo il primo tempo, ribaltato nel 5-3 finale per i tedeschi, favoriti evidentemente anche dalla paura che gli ungheresi provavano verso i loro carnefici. Questo match fu la premessa di ciò che accadde qualche tempo dopo. Insieme ad altri 40 mila commilitoni, Walter Fritz venne internato in un campo di lavoro in Siberia (i famigerati Gulag) dopo che l'Armata Rossa ebbe liberato parte dell'Europa dal giogo nazista. Durante il viaggio che lo avrebbe condotto verso l'Inferno (la vita media nei Gulag era di cinque anni), il treno si fermò in un punto di smistamento in Ucraina. Fritz scese dal convoglio e la sua attenzione fu colpita da un pugno di soldati di varia etnia intenti a giocare una partita di calcio. Il suo cuore batté sempre più forte ed una voglia irrefrenabile gli fece ribollire il sangue: d'altronde, erano anni che non vedeva un pallone e quella era l'occasione adatta per grattare via un po' di ruggine dagli scarpini. Iniziò a giocare con loro e fu subito evidente che quel prigioniero tedesco era di un altro livello. Dopo qualche decina di minuti, ricchi di dribbling ubriacanti e tiri al fulmicotone, Fritz si sentì battere sulla spalla come se qualcuno volesse parlargli: "Ehi, ma io ti conosco!" Rabbrividí e il sangue gli si raggelò nelle vene. Si girò di scatto e gli si parò di fronte un soldato ungherese, che aveva assistito a quel match del 1942. Il nome di Fritz Walter, l'indomani, venne tolto dalla lista dei prigionieri. Era salvo e già nel 1945 poté far ritorno nella sua amata Kaiserslautern. Dove, tra le innumerevoli celebrazioni, gli tributarono lo stadio cittadino, quello in cui si giocò Italia-Stati Uniti della Coppa del Mondo 2006. 

Ciò che avvenne negli anni a seguire entrò di diritto nella storia della Germania, e non solo calcistica. Nel 1954, nella finale della Coppa del Mondo, la neonata Germania Ovest rimontò e batté  la "Squadra d'Oro", la favoritissima Ungheria di Ferenc Puskas. Un'impresa tanto titanica, quanto sospetta. Alcuni eroi di quella partita morirono pochi mesi dopo per alcune strane malattie e, inoltre, i risultati nei match successivi della Germania furono alquanto deludenti: prove sufficienti per gridare allo scandalo doping. Il caso venne comunque archiviato per mancanza di prove tangibili e, neppure qualora questa storia fosse stata vera, il nome di Fritz Walter, del fratello Ottmar e dei loro "commilitoni" sarebbe potuto uscirne infangato. Semplicemente perché, ciò che fecero questi calciatori, andò oltre il semplice sport. 

Di ritorno da Berna, i ragazzi di Herberger vennero presi d'assalto da una folla festante, accorsa in stazione per ringraziare i loro beniamini per le gioia che avevano regalato loro. Forse fu un caso, ma da quel momento in avanti furono gettate le fondamenta dell costruzione dello Stato teutonico, grazie evidentemente agli aiuti del Piano Marshall e alla base industriale già presente e forte nel paese. Ma ciò che fecero gli eroi del "Miracolo di Berna" rappresenta il collante che tiene in piedi tutta la costruzione politica. Perché, come disse lo storico Joachim Fest, il 4 luglio 1954 è la vera data di fondazione della Repubblica Federale tedesca.