Un derby racconta storie di ogni genere. Se nel calcio un’impresa, una stranezza, un epilogo diverso dal solito non è accaduto durante una stracittadina, forse non è mai accaduto in assoluto. Il derby romano, poi, è una fucina di grandi vittorie, di pesanti sconfitte, di gol che (raramente, in verità) possono valere titoli, ma soprattutto di aneddoti particolari. Oltre 60 anni fa avvenne un fatto davvero singolare. È ancora presente nella memoria collettiva la grande nevicata del ’56. Quello che non tutti ricordano è il fatto che gli effetti di una terribile bufera che si abbatte su Roma nella notte fra sabato 10 e domenica 11 marzo, costringe l’arbitro a rimandare il derby. Malgrado la nevicata, oltre 40mila tifosi di presentano allo Stadio Olimpico con scarponi da neve in certi casi rudimentali, pronti ad assistere a un Lazio-Roma che non si gioca. La palla affonda, il campo risulta impraticabile. Non era mai successo, non sarebbe successo più, almeno finora. La partita è rinviata al 4 aprile, con un clima del tutto diverso. Un’altra particolarità: la ripetizione viene arbitrata dall’arbitro internazionale Vincenzo Orlandini. Di Roma. In quel pomeriggio di sole vince la Lazio 1-0.

LA QUIETE E POI LA TEMPESTA. È quasi primavera, quel sabato di metà marzo a Roma. Pretendere il caldo sarebbe assurdo, ma la neve è davvero inaspettata. E invece nella notte arriva una vera e propria bufera bianca. La domenica mattina la gente incredula scende in strada e ingaggia una guerra a palle di neve senza quartiere. In realtà la situazione è drammatica in molte parti d’Italia. Molti comuni, in particolar modo al sud, sono isolati e buona parte dei rifornimenti viene lanciata da appositi elicotteri. Nella Capitale la neve è un evento talmente inaspettato da far dimenticare, almeno per un momento, che quella non è una domenica come tutte le altre. È la 5° giornata di ritorno ed è in programma il derby. All’andata è finita 0-0. Una volta tanto la stracittadina si gioca per conquistare i quartieri alti della classifica. La stagione è diversa dal solito, perché sembra arrestarsi, almeno per un anno, il predominio al vertice delle milanesi e della solita Juventus. La Fiorentina allenata da Fulvio Bernardini è lanciatissima e alla fine del torneo diventerà campione d’Italia per la prima volta nella sua storia. Le romane stanno andando bene. La vetta è distante, ma non ci si può lamentare. La tempesta di neve coglie impreparati i giocatori, tanto quanto gli addetti all’agibilità del terreno di gioco. Non è colpa di nessuno, forse si poteva coprire l’erba ma il freddo stermina ogni forma di vita fino alla collina di Monte Mario e la visibilità non va oltre i 15-20 metri. Quando è così, meglio rimandare a casa i tifosi e stabilire al più presto la data del recupero.

STORIE PARALLELE. Alla metà degli anni ’50 la Roma è una società che vive di rendita sullo scudetto 1941-42. Non ha vinto altro. Anzi, ha conosciuto per un anno anche la serie B, ma da qualche tempo ha una rosa dalla quale ci si potrebbe aspettare qualcosa di buono. Del resto, il trio d’attacco è di livello assoluto: ad affiancare l’italo-brasiliano Dino Da Costa ci sono Istvan Nyers, un apolide fortissimo che prenderà la nazionalità ungherese, e Alcides Ghiggia, campione mondiale 1950 con l’Uruguay. Per la panchina, il presidente Renato Sacerdoti ha scelto un grande campione del passato: Gyorgy Sarosi, l’uomo in più della nazionale ungherese alla fine degli anni ’30. I giallorossi hanno vinto poco, i biancocelesti nemmeno quel poco. Rispetto alla Roma, la Lazio punta di più sull’italianità dell’organico, ma anche nel suo caso l’allenatore è straniero. Il presidente Costantino Tessarolo, un imprenditore veneto innamorato dei colori biancocelesti tanto da indebitarsi in modo quasi irrimediabile, ha ingaggiato a campionato in corso l’inglese Jesse Carver. Con il suo italiano un po’ stentato, Carver sa farsi ascoltare e riesce a compattare una squadra che ha le sue punte di diamante nello svedese Selmosson e in Bettini (peraltro un ex giallorosso). Oltre a un portiere di alto livello come Roberto Lovati fra i pali. Del resto Carver non è l’ultimo arrivato in Italia: nel 1950 ha vinto uno scudetto sulla panchina della Juventus.

SI GIOCA MERCOLEDI’ 4 APRILE, stabilisce la Lega Calcio. L’arbitro sarà ancora una volta l’internazionale Orlandini. Il fatto che sia di Roma e che nel contempo diriga il derby capitolino è un fatto inedito. Inedito quanto un Lazio-Roma rimandato per neve. Ma sulla carta Orlandini dovrebbe essere equidistante e sopra le parti. All’inizio la sua designazione è ben accolta da entrambe le società. Alla fine contesterà il suo operato solo chi avrà perso. Sebbene si giochi di giorno feriale, gli spalti accolgono 75mila spettatori. La Lazio è la formazione di casa, il numero di tifosi in curva e in tribuna si equivale. Non è una bella partita, raramente il derby romano lo è. Gioca meglio la formazione biancoceleste, ma si tratta di una superiorità che non si traduce in pericoli seri per la porta difesa dal giallorosso Panetti. Ai punti la Lazio – riferiscono le cronache – si fa preferire. Non avrà creato occasioni importanti ma gioca come la Roma non fa: a pieno ritmo, puntando sul collettivo. La Roma si affida all’estro dei singoli e, a parte qualche conclusione dalla distanza, non concretizza. Si va negli spogliatoi sul risultato di 0-0. Durante l’intervallo serpeggiano i soliti commenti: noia, poco spettacolo, fasi di gioco soporifere. Quello che si dice del derby romano più o meno da sempre. Salvo rare eccezioni.

LA SBLOCCA MUCCINELLI. Il primo minuto della ripresa è letale per la Roma. Sfuma un’azione d’attacco della squadra giallorossa e l’avversaria è pronta a ripartire. L’esordiente Lo Buono interrompe il tentativo di discesa di Ghiggia e rilancia verso Vivolo a metà campo. L’attaccante scuola Juventus vede un varco tra Cardarelli e Stucchi sulla tre quarti destra ed è proprio in quello spazio che serve l’accorrente Muccinelli, uno che non viene soprannominato “freccia d’oro” per caso. La punta della Lazio arriva per primo sul pallone in area avversaria, controlla di destro e con lo stesso piede segna in diagonale alla destra del portiere Panetti. Esplodono di gioia i settori occupati dai tifosi laziali, ma da quel momento la Roma cambia faccia.

MUCCHIO SELVAGGIO. Senza migliorare la qualità del gioco, i giallorossi riescono a essere quantomeno pressanti. La più grande occasione mancata è in realtà una svista arbitrale. 10 minuti dopo la rete di Muccinelli, Sentimenti V, stoppa la palla di mano in piena area di rigore. È un rigore solare che l’arbitro, forse coperto, non concede. Si crea intorno al direttore di gara un capannello inferocito di maglie giallorosse e a qualcuno saltano i nervi. Saltano i nervi anche all’arbitro, che deve perfino usare le mani per tenere a debita distanza alcuni giocatori. A partita conclusa Ghiggia, Giuliano e Nyers sosterranno di essere stati presi letteralmente a schiaffi da Orlandini. Da Costa sarà per anni il terrore della difesa biancoceleste ma quel pomeriggio la diga alzata da Fuin, Lo Buono e Molino lo tiene lontano da Lovati. Anzi, nel finale è la Lazio, che nell’ultimo quarto d’ora tende ad affidarsi più al contropiede che al gioco corale, a sfiorare la rete del raddoppio. Pur non essendo previsto a quei tempi il recupero (salvo casi eccezionali), la partita si protrae fino al minuto 93. Al triplice fischio è l’apoteosi per i biancocelesti, lo sprofondo per gli avversari.

A VOLTE RITORNANO. 48 anni più tardi, un altro derby sarà sospeso a marzo e rigiocato ad aprile, ma il 21 marzo del 2004 la neve non c’entra nulla. Tra un tempo e l’altro di quella partita si sparge la voce, poi dimostrata falsa, che una camionetta di polizia abbia investito a morte un bambino. Le pressioni delle due tifoserie e l’intervento in prima persona dell’allora presidente della Lega Nazionale professionisti Adriano Galliani, spingono l’arbitro a sospendere la partita. Quel derby si rigiocherà il mese successivo. Finirà in pareggio, 1-1. La tempesta di neve si fa decisamente preferire come causa efficiente per bloccare una stracittadina.

Diego Mariottini