Campionato poco competitivo, sempre meno fuoriclasse, giovani poco valorizzati; eppure è da questo nostro calcio italiano che provengono quattro dei vincitori del Pallone d’Oro: Rivera, Rossi, Baggio e Cannavaro, punti di riferimento per il nostro calcio in quattro differenti periodi, sono gli unici calciatori italiani che compaiono nell’albo dei vincitori dell’oscar del calcio europeo, istituito nel 1956 dalla rivista sportiva francese France Football.

GIANNI RIVERA

Nel 1969 vince il Pallone d’Oro un regista alessandrino con i piedi d’artista, capace in quello stesso anno di vincere la Coppa dei Campioni e la Coppa Intercontinentale con la maglia del Milan, ma, soprattutto, di battere la concorrenza di Gigi Riva, l’eroe del Cagliari, altro candidato alla vittoria del titolo.

Si tratta di Gianni Rivera, uno dei più grandi numeri dieci della storia del calcio, uno che non aveva solo talento ma aveva il dono del fuoriclasse già all’età di quindici anni, quando fece il suo esordio in Serie A con la maglia dell’Alessandria e tutti lo chiamavano “il Signorino” per il suo bell’aspetto che tanto piaceva alle donne e per il fisico esile che gli permetteva di danzare col pallone tra i piedi. Una figura che permise al calcio italiano di alzare l’asticella del suo prestigio e che sembrava più unica che rara.

Per Riva invece il secondo posto era frutto della sua brillante stagione con la maglia azzurra. Con il Cagliari assente dalla scena europea, i gol con la nazionale sia nell’Europeo del 1968 che nelle qualificazioni della Coppa Rimet avevano dato grande smalto al giocatore ormai bomber di livello mondiale. Al terzo posto Gerd Muller, affermatosi definitivamente nel Bayern Monaco.

PAOLO ROSSI

Passano tredici anni. L’Italia ha più volte sfiorato la vittoria con Riva, Mazzola e Zoff. Il 1982 però è l’anno di Paolo Rossi: “Pablito” (soprannome attribuitogli dal CT della nazionale Enzo Bearzot) trascina gli azzurri alla vittoria della Coppa del Mondo e i suoi gol al Brasile, alla Polonia e alla Germania lo rendono il volto italiano più popolare nel mondo. Ovviamente il titolo mondiale e la vittoria con sei reti nella classifica cannonieri del torneo obbligano tutta la stampa internazionale a riconoscere a Rossi il titolo di miglior giocatore d’Europa.

Alle sue spalle Alain Giresse, a rappresentare il calcio francese ormai decollato ai primi posti del mondo, e al terzo posto un giocatore già affermato che diventerà protagonista del nostro calcio, Zbigniew Boniek, neo acquisto della Juventus, che aveva dato lustro alla sua nazionale durante il mondiale spagnolo.

ROBERTO BAGGIO

Rossi è stato una bandiera per due club in particolare: Vicenza e Juventus, gli stessi club che hanno avuto l’onore di avere in rosa un altro Pallone d’Oro, quello del 1993, quello di colui che, attraverso le sue prodezze, ha fatto appassionare milioni di persone allo sport più famoso del mondo.

Era tutto per il calcio, era divino e aveva i capelli raccolti, era il “Divin Codino”, era Roberto Baggio, uno dei migliori fantasisti della storia del calcio mondiale. Una carriera troppo umile per un uomo così grande, a spasso per Vicenza, Firenze, Torino, Milano, Bologna e Brescia tra momenti di gloria e periodi bui.

Un uomo mite e introverso prima che un giocatore, dotato di forte istinto e fiuto per il gol, con la tendenza a comportarsi più da gregario che da leader. Il rigore sbagliato nella finale dei mondiali statunitensi del 1994, che sancì la vittoria del Brasile, e i tanti infortuni avrebbero messo in ginocchio qualsiasi altro giocatore tranne lui, che ebbe ancora la forza di diventare campione d’Italia due volte consecutivamente, prima con la Juventus di Vialli e Ravanelli e poi con il Milan di Capello.

Alle sue spalle finiscono Dennis Bergkamp, promessa non mantenuta del calcio olandese e parziale delusione dell’Inter, e poi Eric Cantona, istrionico calciatore transalpino in quel periodo stella del Manchester United.

FABIO CANNAVARO

Ma i ricordi fanno parte del tempo, un tempo che scorre veloce, dal 1993 al 2006, dal Veneto di Baggio fino a Napoli tenendo sempre la maglia bianconera addosso. Il quarto Pallone d’Oro italiano è ancora marchiato Juventus, ma questa volta in compartecipazione con il Real Madrid: stiamo parlando di Fabio Cannavaro, che il 27 novembre 2006, esattamente undici anni fa, alzava il trofeo sorridendo alla stampa mondiale.

Un partenopeo doc, nato con la maglia azzurra addosso, costretto a togliersela per sanare i debiti della squadra. Da quel momento trascorre una gioventù calcistica tra Parma e Milano sponda nerazzurra, fino ad approdare in casa Juve dove, insieme ai compagni di un tempo, Ferrara, Thuram e Buffon, forma una fortezza invalicabile, che permette al club torinese di conquistare due scudetti, prima del trasferimento nella capitale spagnola. Cannavaro è il primo vero difensore a vincere il Pallone d'Oro (Beckenbauer e Sammer erano più ex centrocampisti), un riconoscimento eccezionale al termine di un'annata che lo aveva visto protagonista della strepitosa cavalcata azzurra al Mondiale tedesco. È proprio lui, da capitano, a sollevare la Coppa, la quarta Coppa della storia dell’Italia.

IL QUINTO

Ce ne sarebbe un quinto, ma non un quinto qualsiasi: è Omar Sivori, “l’angelo dalla faccia sporca”, “El Cabezon”, leggenda della Juventus. I suoi meriti e il suo talento rimangono contesi con la madrepatria Argentina proprio come il Pallone d’Oro da lui vinto nel 1961 grazie alla stagione straordinaria con la formazione bianconera e allo status di oriundo (fino al 1995 i calciatori extraeuropei non avevano accesso al premio). Fu il primo successo per un giocatore della Juve e del campionato di Serie A.