Nelle ultime sessioni di mercato la compravendita di giocatori sta seminando il panico nel mondo del calcio. Neymar passato al PSG per 225 mln di euro. Coutinho al Barça per 160

Si sprecano commenti moralistici, distopici e spesso molto banali: "Che schifo, buttare tutti quei soldi quando c'è chi muore di fame", oppure "Facile fare i fenomeni avendo milioni da buttare" e anche "Se la mia squadra potesse investire tutti quei soldi, saremmo campioni di tutto".
Non commento e non giudico tali posizioni, voglio però analizzare il perché il calcio si stia incanalando in un mercato pazzo che alimenta certi tipi di congetture.

Negli ultimi anni, dopo l'avvento del FFP (Financial Fair Play) voluto da Platini, il divario tra squadre blasonate e piccole realtà sta esponenzialmente aumentando; questo perchè regola cardine del provvedimento è il poter spendere non più di quanto si incassa. Una regola giusta, economicamente parlando, per mantenere la sostenibilità dell'investimento. Questa però ha portato all'aumento della forbice tra piccoli club e quelli più prestigiosi; maggiori investimenti (di solito) portano a migliori risultati sportivi, con conseguente aumento dei ricavi da sponsorizzazioni e premi partita. 

In questo articolo però non voglio analizzare la riforma. Voglio ricordare, ai commentatori da bar citati sopra, che esattamente 30 anni fa il nostro calcio faceva lo stesso. Con risultati molto peggiori (a livello di traguardi conseguiti) e letteralmente disastrosi dal punto di vista patrimoniale.
Negli anni 80/90, il calcio italiano era considerato il più bello del mondo. Tutti i migliori giocatori passavano per le società nostrane: Zico, Rumenigge, Maradona, Platini, Ronaldo, Zidane… solo per citarne alcuni.
Non c'era giocatore che non fosse alla portata dei nostri club; molto spesso molti di questi erano strapagati solo per il gusto di far loro indossare la casacca della propria squadra. Vi cito un trasferimento "clamoroso" all'anno, fino agli inizi degli anni 2000 dove la tendenza si è inesorabilmente invertita:

  • 1984 - Diego Armando Maradona (dal Barcellona al Napoli per 13 miliardi di lire)
  • 1987 – Ruud Gullit (dal PSV al Milan per 13.5 miliardi di lire)
  • 1991- David Platt (dall’Aston Villa al Bari per 12 miliardi di lire)
  • 1992 - Gianluca Vialli (dalla Sampdoria alla Juventus per 30 miliardi di lire)
  • 1997 - Ronaldo (dal Barcellona all’Inter per 51 miliardi di lire)
  • 1999 - Christian Vieri (dalla Lazio all’Inter per 90 miliardi di lire)
  • 2001 - Mendieta (dal Valencia alla Lazio per 93 miliardi di lire)

Questi investimenti molto spesso hanno portato a vittorie eccellenti (vedi Ronaldo con l'Inter campione della Coppa Uefa, oppure Vialli con la vittoria dell'ultima Champions della Juventus), ma anche e soprattutto flop storici (vedi il trasferimento di Mendieta, che non porterà gioie alla Lazio di Cragnotti).

Quello che però ha dato definitivamente il benservito al movimento italiano, sono stati risultati patrimoniali che questi eccessi hanno portato; Lazio e Roma sono state salvate in extremis dalla bancarotta, la Fiorentina di Cecchi Gori è dovuta ripartire dalla serie C insieme al Napoli. Le due milanesi sono al momento in una situazione più nebulosa che serena. 

Dove erano le chiacchiere da bar quando spendevamo tutti quei soldi? 
Non è che, come dice il proverbio, "il lupo che non arriva all'uva, dice che questa sia acerba"?

L'immissione di soldi derivati da sponsorizzazioni sta crescendo a livello esponenziale; questo porta ad una conseguente inflazione nel mercato dei giocatori. È un giochino matematico, che nessuna morale potrà cambiare. E quando penseremo quanto questo possa essere sbagliato e non eticamente giusto, vi invito a ripensare a questi grossi investimenti del passato: questo trend lo abbiamo creato noi, che ci piaccia o no.