Arrivato in seguito a un europeo in cui aveva messo in mostra, di fronte al grande pubblico, doti fuori dal comune, Marko Pjaca era stato accolto dal mondo bianconero con grande soddisfazione e curiosità per vedere all’opera quello che, di fatto, veniva considerato uno dei maggiori talenti giovanili del calcio europeo. Grazie anche alla presenza in squadra del connazionale Mandzukic, l’inserimento in squadra di Pjaca è stato più semplice: sin dalle prime partite in cui venne inserito per giocare qualche minuto, ha messo in mostra tutto il suo repertorio fatto di tecnica, velocità e fisicità; poi un brutto infortunio al perone lo ha tenuto fuori di fatto da fine ottobre fino al nuovo anno. Al suo rientro, complice anche il cambio di modulo, Allegri ha iniziato a schierarlo con regolarità e minutaggio crescente, tuttavia le prestazioni del giovane attaccante croato si sono assestate su quanto visto sin dalle prime partite; un giocatore con potenziali tecnici fuori dal comune ma che fatica ad inserirsi in un contesto di squadra, soprattutto in un campionato tattico come quello italiano, a maggior ragione nella Juventus, dove vincere è un obbligo. Un primo monito lo lanciò Allegri in conferenza stampa: “deve capire che il calcio non è solo tecnica ma anche sacrificio”, salvo poi riconoscere che vedersi proiettato dal campionato croato a quello italiano è un salto sicuramente non semplice, che necessita di tempo di ambientazione. Il gol che sbloccò il risultato in Champions contro il Porto sembrava poter segnare una svolta in positivo nella sua stagione; tuttavia le prestazioni di Pjaca continuano ad essere simili: tanti doppi passi e virtuosismi spesso inutili, attacchi a testa bassa senza guardare il posizionamento dei compagni di squadra e intere frazioni di gioco in cui scompare letteralmente dalla partita, rendendosi di fatto inutile per la causa. Il tutto alternato a qualche lampo in cui mette in mostra le sue doti, tuttavia ormai insufficiente per giustificare un investimento non esiguo fatto dalla dirigenza su di lui. La gara contro il Milan, in cui partì titolare, era un’occasione d’oro per mettere in mostra un processo di crescita che invece stenta ad evidenziarsi; lo stesso ieri contro la Samp in cui, a detta di Allegri, ha spesso prestato solo attenzione alla fase difensiva senza più attaccare. Il problema attuale di Pjaca è che sembra faticare nel calarsi in una realtà nuova, accettando di correre sia in avanti che indietro e prendendo magari anche qualche fallo, giocando più per la squadra, meno per se’ stesso; cosa che ha accettato Mandzukic, uno che qualcosina ha già vinto in carriera, di tornare a giocare in un ruolo ricoperto quando aveva vent’anni; non vedo perché Pjaca, che invece ha poco più di vent’anni, fatichi a rileggere leggermente il suo modo di giocare. E’ vero che, ad esempio, Dybala arrivava da una squadra italiana ma è altrettanto vero che aveva fatto praticamente un solo anno in a da protagonista; ebbene, alla Joya servirono poche partite per capire che se a Palermo gli arrivava il pallone sui piedi in area e la squadra ruotava attorno a lui e Vazquez, a Torino la palla doveva venirsela spesso a prendere anche a centrocampo; poco gli servì per rileggere il suo modo di stare in campo, quello che invece sembra ad oggi mancare a Pjaca, ancora troppo avvolto nei suoi virtuosismi tecnici. L’impressione è che ora i “bonus” per Pjaca siano finiti: che da qui al termine della stagione debba dare segnali fattivi di una crescita non più rimandabile; perché se da un lato è vero ciò che dice Allegri, che arriva da un campionato a bassa competitività, è altrettanto vero che con la Dinamo Zagabria aveva già avuto l’occasione di fare esperienza europea, sia in Champions che in E.L, e perlomeno di constatare come viene inteso il calcio su palcoscenici prestigiosi. L’investimento fatto su di lui parla di un giocatore acquistato non per fare la comparsa ma per diventare, a stretto giro di posta, un titolare nella Juventus; posizione che va però meritata con prestazioni convincenti e spirito di sacrificio. Il futuro è nelle sue mani a questo punto: per scongiurare strani pensieri di una cessione estiva che certificherebbe un fallimento da ambedue le parti in causa, dovrà dimostrare un processo di crescita ora non più procrastinabile.