Cominciamo dalla fine: era rigore?
Si, era rigore. Netto? Esattamente quanto era rigore quello di Mascherano su Pogba a Berlino, né più né meno. O, più recentemente, quello su Cuadrado a Torino nella gara di andata.

Una volta appurato che alla Juve contro le spagnole i rigori a favore non li fischiano, ma quelli contro li concedono tutti, dopo aver avuto l’ennesima conferma che Collina è in costante malafede e che il calcio italiano dovrebbe pretenderne l’immediata esclusione, passiamo oltre.
Meritava la Juve di passare?
No, non meritava. E posso dimostrarlo.

Vai a Madrid, fai un partitone, ti porti sullo 0-3 recuperando completamente lo svantaggio dell’andata. Le avete viste le facce degli spagnoli (calciatori, dirigenti e tifosi) a quel punto della gara? Terrore e rassegnazione, cioè la sconfitta: ecco cosa raccontavano quei volti. Tutti, nessuno escluso. 
Allora ti aspetti il colpo di grazia. Ti aspetti che la Juve afferri al collo l’avversario ferito e lo finisca, come impone nella giungla la legge del più forte. Come fanno le vere, grandi squadre europee.
Cosa fanno, invece, i bianconeri?
Semplice, si fermano.
Già, si fermano. Cioè, si fermano nel vero senso della parola. Si piantano in mezzo al campo, cominciano a passarsi la palla al rallentatore, in attesa dei supplementari.
Che poi non si capisce perché aspettare i supplementari. Forse perché, inconsciamente, la Juve cerca la sconfitta e se essa arrivasse ai supplementari, o magari ai rigori, sembrerebbe più accettabile.

Mi spiego meglio: contro un Real in ginocchio, incapace di reagire, che aspetta solo l’assalto avversario definitivo, in un Bernabeu silenzioso come la Siberia in un giorno senza vento, la Juve si ferma e, aspettando i supplementari, concede agli avversari moribondi la palla. Che nel calcio significa concedere la possibilità di reagire.
E gli avversari, increduli, non si fanno pregare. Aiutati dal pubblico, anch’esso basito e resuscitato dalla demenza bianconera, comprendono che alla Juve di Champions la vittoria produce uno strano effetto: genera paura.
Di più: terrore.
E’ proprio così, la Juve di Champions è terrorizzata dall’idea di vincere. E questo terrore blocca i muscoli, tutti i muscoli. Dalle gambe al cervello.

Qualcuno ricorda il ritorno di Monaco contro il Bayern? Anche quella sembrava, alla vigilia, un’impresa impossibile. Poi le squadre scesero in campo, la Juve si portò sul 2-0, sfiorò più volte il terzo. Poi si fermò, smise di giocare e iniziò ad aspettare. Cosa? La sconfitta, ovviamente.
Che puntualmente arrivò.
Esattamente come è arrivata ieri.

Esattamente come arriverà la prossima volta.
Perché in Champions, quando l’avversario è in difficoltà, devi colpirlo, colpirlo, colpirlo e colpirlo ancora. Senza pietà. Perché se non lo fai, l’avversario recupera e ti colpisce lui.
E vince. Meritatamente.
E tu perdi. Meritatamente.
Ecco perché il Real ha strameritato di vincere e la Juve ha strameritato di perdere. Ecco perché il Real ha vinto 12 Coppe e la Juve ha perso 7 finali. Perché è inutile e anche un po' squallido, alla fine, mettersi a discutere dell’arbitro. Perché questa è proprio la caratteristica distintiva dei perdenti.

Già, i perdenti.
“Chi è sconfitto, nella lotta, in una competizione, in un confronto, nel gioco, in una scommessa, e sim. (si contrappone a vincente o a vincitore)”. Questa è la definizione della parola “perdente” che danno i vocabolari. Questa è, piaccia o meno, la Juve di Champions. La mia Juve, a scanso di equivoci. Perché quello che a Torino evidentemente ignorano e che approfitto per rivelare è quanto segue: “Vincere non è importante. E’ l’unica cosa che conta”.

Vincere conta, non arrivare ai supplementari.

Amen.