Incredibilia fiunt. Accadono cose incredibili in quel di Milano stasera. Che sarebbe un preambolo interessante, se si trattasse di un articolo di fantascienza, o una versione di latino come quelle che si danno ai licei. E invece no. Questa non è una storia come le altre, questa è diversa, più tetra, più cupa, e cosi lapalissiana e per certi versi scontata da risultare terrificante.

Questa di oggi, è la storia dell'Inter contro l'Hapoel Beer-Sheva. Come fosse un racconto giallo, o un thriller, o un ricordo di quando all'Inter giocavano Centofanti, Sforza e Gresko. Qualcosa di spaventoso insomma.

Il racconto si apre con una carrellata di presentazione dei personaggi: tra questi, c'è un signore un pò avanti con gli anni, lo sguardo di chi ha visto mille battaglie, e che qualche soddisfazione se l'è pure tolta, e con indosso, orgoglioso, una maglietta ancora nuova, nera e azzurra sebbene un pò datata. E' italiano, lui, italiano di nascita. E' il signor Internazionale, perchè lui, secondo le idee dei genitori, doveva essere cittadino del mondo. Il signor Internazionale parla ai suoi uomini, mentre il suo basista, un olandese, nuovo della banda ma con idee rivoluzionarie, decide che per il colpo si possono scegliere senza problemi gli elementi secondari, per mostrare il loro coraggio e il loro vigore e motivarli. Un pò sorpreso e riluttante, ma comunque speranzoso e certo del risultato, il boss acconsente e si prepara anch'egli. Dovrebbero esserci dei rivali per il colpo, ma la banda è forte, ha esperienza sulla carta, e ha un nome che i pesci piccoli dovrebbero quantomeno temere. Il nome della banda è lo stesso del capo, unico gesto egocentrico fatto in tutta la sua vita.

Un colpo tranquillo, normale.

Un fischio in lontananza squarcia il silenzio creatosi, ed ecco che i membri del team entrano in scena, in una notte nera, il cielo sgombro da nubi. Tutto sembra volgere al meglio.

Un ragazzone ben piazzato, alto e glaciale, si colloca vicino all'ingresso dell'edificio, sarà lui a presidiare le porte.

A protezione del boss, vi sono tre persone in particolare: uno asiatico, bassottino e veloce, ma senza doti particolari; e gli altri due italiani, uno alto, con la classica faccia del bravo ragazzo ma con la voglia di lavorare che si può avere il lunedi mattina, pasticcione e imbranato; e l'altro invece, volenteroso, ardito, veloce di piede ma che non saprebbe sparare un colpo nemmeno se l'avversario restasse stazionario al centro del bersaglio. Non può mancare poi il classico colombiano da clichè, mulatto e con lo sguardo da duro nonostante la sua giovane età. Intanto, hanno già aperto le doppie porte in tre: uno di origine balcanica, che i numeri li ha, ma che spesso e volentieri si dimentica di stare dove sta; un altro, tracagnotto ma grintoso, con la faccia sporca e cattiva, abituato alla rissa e alle situazioni calde, dove bisogna placcare e non agire di cesello; e un altro, che le risse più che sedarle preferisce crearle, spesso e volentieri dal nulla, sparando alle gambe dei suoi avversari e prendendosi anche la parte grande, un uomo grosso violento, che quando si incazza diventa rosso e si inalbera, e proprio per questo viene chiamato il Melo.

E cosi, sono liberi di entrare gli altri tre, con gli attrezzi del mestiere in mano: uno, italo-brasiliano, che sembra deciso a mettersi in mostra, ma che tende a restare troppo nell'ombra salvo qualche raro momento di eroismo; un francese, che al di là della corsa non ha altre qualità peculiari ma che il capo ha voluto prendere perchè lo conosce bene; e un sudamericano, un argentino che ormai è di casa, il faro del gruppo, qualche anno prima tra i migliori e ora per via dell'età un pò caduto in disgrazia.

Il gruppo non fa in tempo ad entrare, compatto, che un colpo di arma da fuoco passa vicino alla porta, ma l'uomo all'ingresso, freddo e glaciale, non si muove nemmeno, non avverte neppure il gruppo: resta li, immobile, a guardare il bossolo che con un tintinnio cade a terra, vicino all'ingresso. Il capo però ha sentito tutto, e inizia ad avvertire una certa inquietudine: lui sa come vanno a finire queste situazioni. Ma ormai sono in ballo, devono ballare come una étoile, rapidi, agili, e ottenere il bottino. Un altro sparo, stavolta più vicino, viene intercettato con la canna del fucile dal marcantonio all'ingresso. <Attenti!> dice ad alta voce il capo, mentre il basista dalla sua radiolina impartisce direttive, ma senza molto successo: il balcanico con in mano i ferri ci giochicchia un pò ma subito dopo li fa cadere per terra, e anche se riesce ad aiutare i suoi compagni, non lo fa certo come ci si aspetterebbe; l'italiano veloce dovrebbe sparare qualche colpo di avvertimento, ma tutto quel che fa è solo correre avanti e indietro e controllare solo le finestre, senza fare granchè di utile, cosi come l'asiatico, che spesso e volentieri non riesce neppure a tenere l'arma in pugno. L'italiano più alto invece, al fianco del boss che dovrebbe proteggere, trema come una foglia, non riesce a dirigere le operazioni di copertura, ed anche il colombiano ne risente, andando letteralmente nel pallone. L'italo-brasiliano allora prende la sua pistola, infastidito, e spara in colpo verso l'esterno, ma non centra in pieno l'obiettivo, solo colpisce il lampione vicino a lui, che un un suono sordo getta tutto il gruppo nello scoramento.

Sono appena passati quarantacinque minuti, ed il gruppo non è convinto.

Il tutto mentre il brasiliano rissoso non fa altro che lanciare sassi contro i nemici, ma senza un obiettivo preciso, giusto per farlo, per suo gusto. <Non va bene...> mormora il boss, digrignando i denti e scuotendo la testa, ora iniziando anche lui ad aver paura, una paura del demonio, che la situazione volga al peggio. Il basista ha anche tolto il balcanico per mettere dentro un argentino, uno che il boss avrebbe voluto sin dall'inizio dentro, ma lui è lo stratega in campo, e va preservato, c'è un colpo importante domenica, e va risparmiato, cosi come anche l'altro argentino, pronto in rampa di lancio, e un altro italiano, veloce ma con qualche problema in fase di supporto ai compagni e nello sparare, colpisce sempre troppo in alto o troppo in basso, ma certamente meglio del francese.

E proprio quando la banda, accortasi del fatto che se prima non difendono, rischiano grosso, avviene quel che si temeva: due spari fanno cadere due membri della banda, i due italiani a difesa del boss si scansano e cosi un terzo sparo, più forte, passa attraverso le porte colpendo il boss in pieno, all'altezza della spalla. Lo accusa il colpo, cosi come tutta la banda: traballa e si accascia a terra, tamponando la ferita con la mano sinistra, ma le parole, dure e disperate e con quel filo di comprensibile incazzo, sono per i suoi uomini: <Che cosa fate? Datevi una mossa...!> e ci provano, specialmente i nuovi arrivati, scelti dal gruppo principale, non tra queste riserve, ma non ce la fanno, ormai i rivali hanno preso fiducia, e anzichè tentare il tutto per tutto, il grosso della truppa preferisce stare vicino all'ingresso, ma senza proteggere più di tanto il boss.

Sinchè l'asiatico, nel cercare di recuperare un arma caduta a uno degli avversari, non gliela restituisce, goffamente, regalando al cecchino una occasione d'oro. Prende la mira, tra l'uomo alto a guardia dell'infisso principale e il boss, nonostante la barriera umana mossasi in sua protezione. Potrebbe provare a muoversi, lo sloveno, ma non reagisce, non si muove nemmeno, si limita a voltarsi e a vedere il colpo centrare il suo boss dritto all'altezza dello stomaco. Un urlo di rabbia si leva, adesso ne è certo: il colpo fallirà, e lui sta rischiando seriamente di morire.

L'ultimo sparo, ben calibrato, centra la placca in ferro dell'insegna della banca. Il capo è vivo, ma allo stesso tempo è morto: con quelle ferite, il colpo è fallito, e cosi non resta altro da fare che prendere armi e bagagli e portare il signor Internazionale via da li, via da quel teatro dell'assurdo, dove una squadra, sulla carta più forte, anche con le seconde linee, avrebbe dovuto come minimo portare a casa la vittoria, e invece, con una prestazione imbarazzante di chi invece avrebbe dovuto riscattarsi e mostrare di poter essere parte dell'undici titolare. Una mediocrità che sconcerta, e che dovrebbe far riflettere. Ci sono giocatori che non dovrebbero più calcare il campo, in questa squadra. E a noi poveri tifosi, per citare un grandissimo film di Troisi e Benigni, "non ci resta che piangere".