L’insoddisfazione è una delle caratteristiche più fastidiose dell’uomo moderno occidentale.
La velocità con cui tutto ormai scorre ci ha spinto ad essere perennemente affamati e scontenti delle situazioni che ci toccano; succede così che la gioia per un successo, in ogni ambito della vita, passa nella frazione di un secondo ed ecco che, subito, ci stiamo già crucciando su quale potrà essere il prossimo obiettivo, senza nemmeno quasi tirare il fiato.

Calando questo concetto in un ambito quale il tifo calcistico, accade che dopo la sonora sconfitta di sabato subita dalla Juventus si sia scatenato un turbinio di emozioni negative: io stesso, subito dopo il triplice fischio, avrei voluto sprofondare ed ero molto deluso dalla prestazione di alcuni calciatori, macchiatisi a mio avviso di una prova totalmente al di sotto delle loro potenzialità. Come ho già scritto, si poteva perdere perché le finali sono così, ma in un modo diverso; tuttavia, a mente serena e avendo per forza di cose somatizzato la sconfitta, ci si rende conto che, dopo aver messo in evidenza delle critiche corrette, bisognerebbe riportare la cosa su un binario di normalità.
Invece ho letto, su questa e su altre piattaforme, un turbinio di critiche pesanti, rivolte prevalentemente a chi, quando (raramente) in questi anni le cose non sono andate per il verso giusto, diventava il capro espiatorio di tutte le presunte colpe: Marotta e Allegri

Ebbene, se il direttore e il mister secondo qualcuno sono scarsi (parere legittimo seppur non condiviso dal sottoscritto), allora lo erano anche prima di sabato. A me piace sempre ricordare però quelli che sono dati oggettivi: da dove è partita la Juventus quando sono arrivati Agnelli e Marotta e in che situazione era in Europa quando è arrivato Allegri.
Dopo un piccolo viaggio nella memoria, vedrete che di certo non passerà il dispiacere per una sconfitta, ma forse passerà un po’ la voglia di incolpare chi, in fondo, ci ha portato a risultati e traguardi che, fino a tre anni fa, ritenevamo a distanze siderali. 
Forse molti degli juventini che scrivono queste cose sono molto giovani e non sanno cos’abbia significato, ad esempio vivere da juventino un’estate come quella del 2006 e la stagione successiva. Ecco, quando le cose vanno “male” di questi tempi, penso subito a quel periodo e a quando, non più tardi di sette anni fa, venivamo eliminati dall’Europa League per mano del Lech Poznan, che con tutto il rispetto non è il Real Madrid.

Si può sempre e di sicuro lo potranno fare tutti alla Juventus, dalla dirigenza ai calciatori passando per l’allenatore; tuttavia bisognerebbe sempre analizzare le cose con maggior serenità, senza additare solo i singoli, secondo la più fulgida tradizione dello scarica barile italiano, nelle situazioni non di gioia. Perché, per coerenza, gli stessi che ora criticano i singoli nella Juve avrebbero dovuto farlo anche in precedenza, visto che grazie agli stessi abbiamo potuto giocare due finali di Champions in tre anni.

Mi rendo sempre più conto che fare il tifoso sia forse anch’esso una sorta di lavoro, che esige onori e oneri e uno di questi è sicuramente saper tifare, che vuol dire criticare laddove necessario se non si condividono delle scelte ma, alla fine, analizzare i successi e lo svolgimento della stagione e rendere merito a chi li ha portati a casa.

Con tutti gli scongiuri necessari, amici juventini, dovessero tornare le cosiddette “vacche magre” forse solo allora ci renderemo conto di quanto ora siamo viziati, di quanto alcune critiche che vengono mosse siano totalmente infondate.