L’etica è il vocabolo dimenticato dell’epoca moderna. L’etica poggia sui valori, i quali vengono insegnati dall’infanzia e mostrati con azioni, condivisi e cercati nel prossimo per tutta la vita. Il processo di trasmissione dei valori dovrebbe nascere con papà e mamma che – quando ancora si è piccoli (si spera) - urlano “no” quando si tira una sberla al compagno di asilo, ma anche “no”, quando si ruba la merenda al fratellino e così via. Nel frattempo il bimbo cresce e – volente o nolente – vede in tv, allo stadio e nelle figurine, tanti Mister nessuno di 21, o 20, o 17 anni, senza arte né parte, che guidano auto costose e che sono famosi. I genitori, che di “no” ne hanno detti sempre pochi e che – spesso e volentieri – non hanno neanche mostrato il buon esempio, può succedere che vogliano – seppur inconsciamente – che il proprio bimbo/ex bimbo ormai, faccia parte di quei modelli lì. Un giorno poi può anche capitare che l’ex bimbo, ormai bravo ragazzo, che a scuola si impegna e il pomeriggio và agli allenamenti, che fa poche vacanze estive e tifa la squadra del cuore, improvvisamente – lui tra tutti – diventi il 17enne famoso, che gioca in una grande squadra. Ma papà e mamma (o mamma e mamma, o papà e papà, visti i tempi moderni), ancora si dimenticano di dirgli “no”!. Proprio non è nelle loro corde. Anzi, gli dicono “si”, spingendolo in direzione dei loro parametri di giudizio, basati sull’etica, si, quella del denaro però. Il valore lo misurano in base a quanto: quanto hai, quanto fai, quanto sei, e così via. Quel giorno, il 17enne, già star, si trova quindi in mano a un procuratore famoso, che chiede alla squadra in cui il ragazzino milita, 10 milioni di euro all’anno, per accontentare se stesso – in primis – e in seconda battuta i genitori (permettetemi questa supposizione). Ma 10 milioni di euro all’anno cosa significano? Sono solo soldi? In una cifra del genere non possono essere incluse soltanto le palle che il ragazzino 17enne ferma con i guantoni. Dentro deve esserci la capacità di reggere la pressione, di non sbagliare (mai o quasi), di dare il di più, che porta a vincere la partita. E ancora, inclusi nei 10 milioni, vi è la richiesta implicita di essere uomo, di non provare, di non crescere, perché dentro i 10 milioni si richiede già completezza e maturità, sia caratteriale che professionale. Dentro quel numero 10 non c’è il margine di errore che un ragazzo di 17 anni, tutto palla da calcio e amici, avrebbe il diritto di avere. E così capita che appena il “bimbo prodigio” sbaglia, gli mangino l’anima, gliela corrodano, perché maggiori sono le aspettative maggiori sono le delusioni. Se le cose non vanno per il verso giusto in quei 10 milioni deve essere inclusa la capacità di reggere le critiche più aspre, le cattiverie più pesanti e le umiliazioni che – a volte – la vita ci riserva. Quel 10 è ingiusto, sproporzionato, non asseconda la felicità e completezza del 17enne che uomo non è. Ma se i valori (eufemisticamente scrivendo) sono basati sul quanto, ben venga una società che accetti di condividerli e che si porti via il povero 17enne, che povero non è. Nell’epoca in cui le società parlano di “missione e visione”, riempiendosi la bocca (e il marketing) di tante belle parole, sono davvero curioso di vedere chi offrirà questo 10 al piccolo 17enne, che piccolo non è.