"Al rogo, Ventura, e insieme a lui tutta la Federazione". Da lunedì il circo mediatico italiano è tutto concentrato sulla mancata qualificazione dell'Italia ai Mondiali in Russia in programma la prossima estate. Ed è giusto così: è un evento che ha fatto la storia (negativa) del Paese, perché il calcio è spesso occasione sociale (Buffon dixit) e non soltanto lo sport dei "famosi 22 che corrono dietro ad un pallone". Ci sta, dunque, che l'Italia si sia sollevata a mo' di rivoluzione contro l'allenatore più deludente della storia azzurra.

Soprattutto se si prende in esame la questione del post eliminazione, con la bagarre scatenata dal toto-dimissioni del commissario tecnico, che oggi si presenta in conferenza stampa con la faccia provata senza accennare a lasciare il posto fisso, e domani si lascia scappare una dichiarazione a mezza bocca ad un programma di intrattenimento. Si dimetterà o meno, con la buonuscita o meno, Ventura saprà come farsi dimenticare presto dagli italiani nonostante il tonfo più fragoroso di tutti i tempi. Ma non avverrà per merito suo, sia chiaro.

Già, perché ogni lavoro ha le sue regole. La principale, nel mondo del giornalismo, recita che le notizie - anche le più esorbitanti - durano tre giorni. Come quando un calciatore segna alla sua ex squadra, o la celebre formula "gol sbagliato, gol subìto", per intenderci.

Da domani, al massimo da venerdì (perché il disastro è avvenuto lunedì sera), gli italiani si fionderanno sulle proprie squadre di club, riaccendendo i fuochi del campanilismo più feroce coadiuvati da un calendario che propone subito due grandi match al sabato: il derby di Roma e la sfida dal sapore anni '80 tra Napoli e Milan. 

Insomma, nella sua sventura, Ventura è un uomo molto fortunato: non sarà più tirato in causa, tranne nel periodo dei Mondiali russi e forse dai nostri nipoti, quando un giorno vedranno un documentario sportivo e vorranno chiederci come fu sbattere contro la porta di quella che, per anni, è stata la nostra casa.