Dopo tanto tempo e tanti fischi, entusiasmo. In alto il nome del Milan, là dove l'ossigeno è rarefatto. Come se non bastasse, a voltarsi indietro il calendario si è rivelato irto di pericoli: Torino (stasera forse si troverà molto in alto), Napoli fuori casa, Udinese (che scivolone infelice), Sampdoria (sconfitta fino allora dalla sola pioggia e da Totti) fuori casa, Lazio, Fiorentina fuori casa, Sassuolo (controllate dove sarebbe la nostra bestia nera se non avessero inviato tardi una PEC), Chievo (controllate la classifica) fuori casa (invictus al Bentegodi da poco dopo la venuta dei re Magi-Melchiorri ha fatto recentemente un salto a San Siro). È da ieri sera che ci ripenso con orgoglio. Eppure, dopo questa introduzione tutta rose e fiori, il pensiero torna sul Montella-pompiere del post-partita. Lui pensa alla squadra? Magnifico. Ma metaforicamente, chi taglia i capelli al barbiere (facciamo finta che non ci riesca da sé)? E allora ecco che il focus si sposta su di lui, analizzando il contesto che induce i media ad ergerlo sul trono dei complimenti. I meriti dell'ex Aeroplanino (sempre in tema di volare alto): ne ha, a partire dalla fiducia in Paletta, l'anno scorso nemmeno preso in considerazione a Milanello ed oggi spesso decisivo se non impeccabile, in Suso (lo scrivo nonostante sia in calo), in Locatelli, anche in Lapadula, ma in generale nel gruppo a sua disposizione. Apprezzo lo spirito offensivo, le idee chiare (anche in sede di mercato, ma inascoltate...), la capacità di mantenere sereno l'ambiente (si spera, in vista della Juventus) a prescindere dal risultato. Senza andare troppo sulla tattica. Eppure, sono talvolta lunghi i frangenti in cui non riusciamo a costruire gioco: è pur vero che sappiamo soffrire, ma servono più freddezza e precisione per uscire da momenti come questi, dunque personalità e convinzione dei giocatori nei propri mezzi, le quali richiedono tempo (o un metronomo esperto, che non c'è, per un possesso che sia meno frequentemente sterile). Emblematica l'ardua prova dinanzi a cui si trova Montella: la gestione del giovanissimo Locatelli, ieri emozionato e timoroso nei primi 20' da titolare, in una posizione cruciale del campo. È un Milan che al netto di giornate da brividi di alcuni membri della retroguardia, sa difendere, sa certamente segnare, mostra buona volontà a centrocampo nonostante i mezzi siano inferiori ad altre squadre. È tutto merito di Montella? A costo di finire sul patibolo (sono un conclamato amante del rovescio della medaglia), io dichiaro hic et hora, in pieno possesso delle mie facoltà mentali... che secondo me non è così. Sembra che sia stato dimenticato il lavoro di Mihajlović: avrà pure avuto qualche colpa (il modo in cui veniva sfruttato Bacca mi ha sempre trovato in disaccordo nonostante lo score finale di stagione), eppure gli va appuntata al petto una medaglia al valore per aver portato Donnarumma in porta, Romagnoli al Milan, Calabria a combattere con Abate per il posto fra gli 11 titolari, Bonaventura a giocare ad alti livelli, Locatelli in prima squadra, Niang a dare il 100% anche in difesa. Persino Montolivo era cresciuto molto nell'interpretazione difensiva (non c'è Montella o Mihajlović che possa risolvere i problemi in costruzione di gioco, quelle sono le sue caratteristiche, ma prima che Galliani lo capisca....). All'inizio dell'anno passato il Milan era in costruzione: Mihajlović inizialmente provò il suo modulo prediletto, il 4-3-1-2, con giocatori che l'anno scorso erano totalmente nuovi (a differenza di quanto succede oggi con Montella). Le difficoltà incontrate, le voragini in difesa, un Bertolacci totalmente incapace di adattarsi al ruolo di mezzala spiegano il maggior numero di reti subite da Mihajlović e perché questi abbia poi preferito ripiegare su un compatto (e molto difensivo, "ragione" alla base dell'esonero) 4-4-2 e da cui secondo me deriva la capacità attuale di soffrire. Adesso Montella ha un reparto difensivo che vanta un maggiore rodaggio ed in cui Paletta si è inserito rapidamente da leader lasciando solo un nebuloso ricordo delle saltuarie amnesie di Alex (oltretutto spesso in infermeria) o di Zapata; non ha Bertolacci a disposizione (dovrà sudare 100 divise, altro che 7 camicie, per ricomparire negli 11); sa già quanto possa dare Bonaventura adattato da esterno a mezzala in un centrocampo a 3 come il suo senza la necessità di verificare come l'ex atalantino coniughi le due fasi. In sintesi, è partito con più certezze del predecessore. Inoltre, al di là degli episodi non propriamente favorevoli (forse a differenza di quest'anno, ripensando a qualche fischio arbitrale con Sampdoria e Sassuolo), anche l'anno scorso il calendario era infelice, ma stranamente nel raffronto Montella-Mihajlović se ne fa menzione solo a favore del primo: la prima dell'agosto 2015 a Firenze contro una squadra che veniva da un precampionato incredibile e con idee (allenatore) nuove per la Serie A era probabilmente il peggio che si potesse ricevere dalla dea (molto) bendata. Sconfitta forse inevitabile, ma pubblico probabilmente troppo critico ed impietoso. Le pesanti pressioni sull'ambiente persistono nonostante il risicato successo sull'Empoli di Giampaolo perché immeritato sul piano del gioco. In seguito il calendario ci regala l'Inter che vince senza meritare, il Genoa fuori casa che arraffa il bottino pieno con un'unica punizione deviata di Dzemaili, il Napoli in un momento di forma invidiabile con un Milan in emergenza infortuni (Zapata-Ely da incubo), il Toro fuori casa. Quest'anno, la vittoria da locali sullo stesso Toro -partita non semplice, ma certamente più abbordabile della prima di campionato dello scorso anno- grazie ad un errore dal dischetto al 93' ha forse alleggerito le pressioni che venivano dall'esigente pubblico sugli spalti. Dopo la partita rocambolesca di Napoli (gettata al vento) e la triste devazione di Abate in casa contro l'Udinese, la squadra ha però saputo rialzarsi con orgoglio. A parer mio in un'occasione ha persino ecceduto quello che l'anno passato sembrava un limite invalicabile: oltre alla continuità di risultati, che per un certo periodo anche Mihajlović era riuscito a raggiungere, si è vista una reazione veemente. Dopo i colpi del Sassuolo è uscito l'orgoglio milanista: l'arbitro avrà pure commesso un errore concedendo il rigore sul 3-1, tuttavia la rimonta andava messa in atto. Così è stato, completandola nello spazio di 8 minuti. In questo match si è visto tutto ciò di cui è capace Montella (vero e proprio Harvey Dent nell'occasione) e che tipo di impronta sia in grado di lasciare: male le scelte iniziali, eccezionale nei cambi dalla tribuna. In conclusione, Montella merita massima fiducia, fosse anche solo per l'entusiasmo che ha riportato ai milanisti, o perché la squadra più giovane della A è seconda dietro l'inarrivabile prossima avversaria. Motivi ce ne sono anche altri. Ma sono favorevole -come l'allenatore, peraltro- ad un attegiamento umile, testa bassa e lavorare: l'Inter capolista non più tardi dello scorso dicembre insegna ad evitare voli pindarici, nei quali includo lo stesso Montella. Non vorrei mai che dinanzi a delle fisiologiche difficoltà contro la dominatrice degli ultimi anni o contro una squadra aggressiva e fisica come il Genoa di Jurić in trasferta (a 3 giorni di distanza...) venisse messo in discussione. La psicologia dei giocatori la farà da padrone nelle prossime due settimane: godiamoci la scorpacciata di Milan con entusiasmo, ne abbiamo bisogno noi e la squadra, augurandoci che la Vecchia Signora questa settimana vinca solo la partita per lei più importante. Quella di Champions, mentre noi assaporiamo l'attesa di una partita che torna ad avere un sapore prelibato, quasi d'altri tempi mai dimenticati.