Ci sono storie in cui il confine tra il prima e il dopo è una linea retta, netta, profonda. Un confine chiaro. Evidente. Storie nelle quali gli scenari, le aspettative, cambiano con una facilità sconcertante e le luci, come lampi, fino ad allora accese a illuminare la scena e i suoi eroi, di colpo si spengono.

La storia è quella di Mario Jardel de Almeida Ribeiro, classe ’73, da Fortaleza. Probabilmente uno dei tre centravanti più forti del panorama calcistico internazionale all’inizio del nuovo millennio.

La sfortuna di Mario Jardel è quella di essere nato nella generazione calcistica di Luís Nazário de Lima, meglio conosciuto come Ronaldo, “Il Fenomeno”. Mario era essenziale, chirurgico, puntuale. Nessuno era come lui. Un gioco aereo fatto di un’elevazione, di una determinazione e di un tempismo fuori dal comune. A tu per tu col portiere non sbagliava mai.

Jardel muove i primi passi calcistici nelle giovanili del Ferroviario e, quando finalmente esordisce in prima squadra, lo stadio da 4.000 posti si riempie quasi sempre di gente che va lì solo per lui. Per vedere da vicino quei movimenti sgraziati abbinati ad una straordinaria efficacia nelle vicinanze della porta avversaria. Nel 1990, infatti, un osservatore del Vasco da Gama, va a vederlo e le sue relazioni sono entusiastiche: la dirigenza bianconera lo acquista, non ancora maggiorenne, per 27.500 dollari. Non sono anni di grandi soddisfazioni per il club mentre il ragazzo scalpita. Sente chiaramente di potersi affermare su palcoscenici più prestigiosi. La svolta nella sua prima parte di carriera si consuma nell´inverno del 1995 con il passaggio al Gremio. La squadra di Porto Alegre ne esalta le caratteristiche così poco brasiliane. Sulla panchina siede Felipe Scolari che fin dall’inizio della stagione punta forte su quel ventunenne che a qualcuno fa storcere la bocca: “La nove è tua”, gli dice. Il Gremio vince la Coppa Libertadores ’95 battendo l’Atletico Nacional de Medellin in una doppia finale conclusa con il punteggio complessivo di 4-1. Jardel segna un gol, il dodicesimo complessivo nel torneo. Ne segnerà ancora tanti per il Tricolor: 67 in 73 partite.

Nell’estate del 1996 Jardel è pronto per il grande salto nel calcio che conta. Se lo contendono due club portoghesi, Benfica e Porto. In realtà sembra ormai fatta per il trasferimento ai Rangers Glasgow. L’affare, però, salta a causa della legge che limita l’ingresso sul suolo britannico dei calciatori extracomunitari. Per il Portogallo non è un problema e a spuntarla saranno i Dragões di Oporto proprio nei giorni in cui a Barcellona sbarcava con ben altra enfasi e a ben altre cifre Ronaldo.

La nuova avventura per Jardel inizia nella notte dell’11 settembre 1996, in uno dei palcoscenici più importanti d’Europa: stadio “Meazza” in San Siro, Milano, Champions League. Il Milan è quello di Sebastiano Rossi, Panucci, Maldini, Albertini, Desailly, Weah, Baggio, Boban e Simone. Al 75’ è 2-1 per i rossoneri e Jardel è in campo da 12 minuti. Segna due gol nel giro di 350 secondi. Il primo è un’elevazione tra Galli e Maldini che incrocia il pallone dove Rossi non puoi mai arrivare e il secondo è una girata fulminea, rabbiosa, dal centro dell’area proprio sotto lo sguardo allibito di un Maldini che cerca invano di capire dove si girerà quel brasiliano grande e grosso. La palla è nell’angolo. Il numero 16 bianco-blu ha sbancato San Siro. Che si accendano le luci, Jardel è arrivato in Europa.

Nella sua prima stagione europea Jardel segna 37 gol in 45 presenze. Titolo di capocannoniere portoghese con 30 gol in 31 partite. In Portogallo giocherà quattro stagioni stupefacenti vincendo quattro classifiche cannonieri a livello personale e segnando gol in ogni modo. Su qualsiasi campo. E lo stesso farà in Europa. Nel 2000 è capocannoniere anche di Champions League con 10 gol. Alla fine di quell’anno gli consegneranno la Scarpa d’Oro. La prima.

Ne parla tutta Europa. Sembra essere destinato a lasciare il Portogallo per teatri più prestigiosi. È sui taccuini di molte squadre importanti ma il destino ha i suoi percorsi e, tra lo stupore di tutti gli appassionati, va in una squadra non di primissima fascia: il Galatasaray di Mircea Lucescu, fresco vincitore della Coppa Uefa che paga tutti i 16 milioni di dollari della clausola rescissoria. Jardel inizia la sua nuova avventura così come aveva finito la precedente: segnando a raffica.

Principato di Monaco, 25 agosto 2000. I giallorossi del Bosforo si giocano la Supercoppa europea contro il Real Madrid. Il Madrid è in vantaggio ma un rigore di Jardel manda il match ai supplementari. In quegli anni c’è ancora in vigore la regola del Golden Goal per sancire il vincitore di una gara in parità dopo novanta minuti. Lo segna ancora lui. Solita girata in mezzo ai due centrali e Casillas immobile. Al debutto in campionato segna cinque gol. Non è ancora settembre e l’Ali Sami Yen, con il suo tifo infernale, è già tutto ai suoi piedi. Nonostante gli infortuni Jardel colleziona 22 gol in 24 partite di campionato e contribuisce con le sue sei reti a raggiungere i quarti di Champions League. Quel Galatasaray è temuto e, soprattutto tra le mura domestiche, gioca partite memorabili. 2-0 ancora al Milan con Jardel che segna in contropiede e 3-2 ancora al Real Madrid che ha chiuso il primo tempo in vantaggio per due a zero. A quindici dalla fine la firma sul risultato finale è sempre sua.

Jardel è un idolo per i tifosi turchi ma desidera tornare in Portogallo, probabilmente per problemi personali. Mario lascia Istanbul e l’ultimo giorno di mercato firma per lo Sporting Lisbona. Sbarca in riva al Tago ed è semplicemente una furia calcistica. Un lupo in mezzo ad agnelli. È Gulliver in mezzo ai lillipuziani. È semplicemente troppo più forte. Quasi mai, o molto raramente, negli ultimi anni un calciatore è stato così più forte degli avversari del suo campionato.

Per Supermario saranno 42 alla fine dell’anno. Solo in campionato. Vinto, ovviamente. E titolo di capocannoniere. Grazie ai sette in Coppa del Portogallo e ai sei in Europa in totale saranno 55 gol in 42 partite, gol che gli valgono la seconda Scarpa d’oro. Lo Sporting porta a casa l’accoppiata campionato e coppa nazionale che mancava al club da vent’anni. Sembra impossibile non convocarlo per i Mondiali in Giappone e Corea del Sud.

Sulla panchina della Seleçao, oltretutto, c'è proprio Scolari, il tecnico che sette anni prima lo ha lanciato. Ma a maggio il Ct dirama le convocazioni e alla voce attaccanti compaiono Ronaldo (ovvio), Denílson (il nuovo enfant prodige), Luisão e il trentenne Edilson. Per lui non c’è posto. La Seleçao gli chiude la porta in faccia. Il colpo è duro, tremendo. Quella che sembrava una macchina indistruttibile prima di tutto dal punto di vista caratteriale vacilla. In quel carattere d’acciaio, tenace, coriaceo che ne aveva elevato il talento per nulla eccelso si insinua un tarlo. Che scava diventando paure e insicurezze. Il Brasile, nel frattempo, diventa campione del Mondo per la quinta volta e Jardel ha la sensazione che per lui, a 29 anni, il treno non passerà più. C’erano Ronaldo e Denílson ancora giovani. C’erano Kaká e Ronaldinho in rampa di lancio. La Seleção per lui era un capitolo chiuso per sempre e la sua storia coi colori verdeoro è di un solo gol in dieci presenze. Una miseria.

Jardel prova a riprendersi qualcosa. Ma saranno solo briciole da qui in avanti. Cocci di un vaso in frantumi. E l’uomo comincia a camminare pericolosamente su quei cocci di vetro. A Natale di quell’anno si fa male al ginocchio in una piscina di Fortaleza, durante le vacanze. I giornali portoghesi parlano di depressione causata dai problemi con la moglie che porteranno alla loro separazione, prime voci di un suo coinvolgimento in un traffico di droga. Brutte storie e una stagione non entusiasmante, per usare un eufemismo: 12 gol in 20 partite.

Allo Sporting non prendono bene nemmeno i continui ritardi di ritorno dalle vacanze. Luglio 2003. Sono i giorni del destino. Quelli che cambiano tutto un avvenire fatto di promesse, di fama e di successo. Una carriera che da quel momento sarà un lungo, lento e costante declino al cospetto del quale Jardel dà la sensazione di non volersi arrendere. Torna in Europa malvolentieri e il suo club fa di tutto per disfarsene. Al suo nuovo club, gli inglesi del Bolton, si presenta come un ex calciatore. Nel mercato di gennaio lo prestano in Italia, alla neopromossa Ancona. La missione è di quelle impossibili: salvare un’armata Brancaleone che è anche una delle peggiori squadre mai iscritte alla Serie A. Jardel si presenta in sovrappeso di quindici chili ma non lesina promesse rivolte a un futuro nel quale nessuno crede: “Dimagrirò”, “Tornerò in forma”, “Ci salveremo”. L’inizio è tragicomico: viene presentato in occasione di Ancona-Perugia. Prima della gara vuole salutare i tifosi e si dirige sotto la curva. Purtroppo (complice una similitudine cromatica) è quella occupata dai tifosi del Perugia e il Team Manager dell’Ancona Gianluca Petrachi è costretto a ricondurlo di fronte ai suoi veri tifosi. L’esordio è a San Siro al cospetto del Milan che tanti sorrisi gli ha regalato in carriera. «Il Milan mi porta bene» dice alla vigilia. L’Ancona perde 5-0 e le pagelle del lunedì sono impietose. Un giornalista sintetizzerà meglio di chiunque quello che è chiaro già a tutti: “Stendiamo un velo di silenzio in rispetto al calciatore che è stato”. Collezionerà tre presenze prima della rescissione del contratto e i suoi tifosi lo saluteranno con uno striscione impietoso: “Lardel”.

A trentun anni girerà ancora molte squadre e mezzo mondo come un fantasma. Il centravanti che ha incantato l’Europa, il più grande nueve degli ultimi trent’anni finirà a giocare su campi improbabili di un campionato locale amazzonico, prima di chiudere la carriera in Arabia Saudita.

Mario Jardel nei suoi anni migliori ha segnato 266 gol in 274 partite. Se consideriamo i migliori anni di altri grandissimi a lui contemporanei scopriamo che Ronaldo ne mette a referto due in meno ma in 382 partite tra Psv Eindhoven, Barça, Inter e Real Madrid, mentre l’olandese Van Nistelrooij tra Psv Eindhoven, Manchester United e Real Madrid ne segna 289 in 406 presenze.

Sarebbe stato bello vedere il grande Jardel in Italia, quello che buttava dentro i palloni ad occhi chiusi. Il ragazzo spensierato che aveva conquistato il Mondo. E, soprattutto, un uomo irrimediabilmente e stupendamente felice.