Nonostante la vittoria del Mondiale 2006, certamente meritatissima, ma anche condita da un piccolissimo granello di buona sorte, il calcio italiano aveva cominciato a logorarsi ben prima del vincente exploit post-calciopoli.
Dalla sentenza Bosman in avanti l'Italia calcistica ha cominciato a non investire più sulla progettualità sportiva concentrando i propri interessi sul business esterofilo, spesso low cost, ma di immediato impatto socio-compulsivo.
In soldoni: non investo sui giovani italiani e compro giocatori stranieri anche di medio-basso profilo perché costano poco e hanno impatto sul tifoso. Con il Mondiale 1998 si è chiusa la porta dei campionissimi, si chiusa la porta di una scuola calcistica che aveva dato lustro al panorama internazionale riempiendo l'intero mondo sportivo di giocatori italiani eccezionali.

L'Italia, per un giocatore straniero, era il punto più alto della carriera, era la prova del nove, il test più difficile per entrare nel mondo del calcio più difficile. Purtroppo, come spesso avviene nel Bel Paese, si vive di slanci, di colpi di coda, di fulmini a ciel sereno. In Italia si preferisce far la cicala che la formica; meglio un euro oggi che 60 tra due mesi. Per questo motivo, gradatamente, il calcio italiano ha cominciato a logorarsi sempre più prediligendo il business allo sport. Esempi lampanti ve ne sono: siamo a fine 2017 e solo pochissime società calcistiche hanno impianti di proprietà.

Le scuole calcio, sia nel panorama dilettantistico sia in quello professionistico, ragionano a compartimenti stagni pensando solo agli introiti dello sponsor di turno; guardano solo il proprio orticello senza una visione coesa e più ampia in cui condividere e sviluppare processi di costruzione di una vera e propria Scuola Calcistica Italiana fatta di aggiornamenti, qualificate metodologie di allenamento, formazioni ampie e strutturate degli operatori del settore, costruzione di impianti all'avanguardia, gestione del calcio come sport e come parte di un modello di vita associato alla cultura nazionale e parte anche del proprio percorso di studi. Tutto ciò è stato sviluppato più che bene in Spagna, Germania ed in modo perfetto in Inghilterra tuttavia anche le altre nazioni europee ed extraeuropee si stanno o si sono attrezzate a riguardo. I talenti nascono senza l'aiuto di nessuno ma diventano campioni solo se inseriti in un contesto organizzato e vincente.

Le lacrime di Buffon, così come quelle degli altri senatori, sono lo specchio di chi è stato svegliato con da un sogno con una secchiata di acqua gelida, sono il segnale di chi alza bandiera bianca e, al di là delle parole di rito, non vede un futuro roseo per il calcio Italiano. L'unico modo che abbiamo per tornare grandi è investire pesantemente anche con l'aiuto dei club per costruire un nuovo modello calcistico fatto di impianti di proprietà, di investimenti sui giovani italiani e sui giovani nati in Italia anche se di famiglie straniere; bisogna costruire strutture in grado di fare del calcio un modello come è il football o il basket negli USA. Estendendo più in larga scala il concetto, non è più sufficiente cullarsi per quello che siamo stati in passato; da questo terribile schiaffo deve fortissimamente partire un nuovo inizio fatto di riconsiderazione del modello di sport, di eliminazione dei gerarchi alla Tavecchio/Lotito dove la politica e l'interesse personale emergono a scapito della collettività e dove si sceglie il peggior CT della storia italiana (Ventura) solo per non dover pagare troppo. Ci vuole un nuovo potente vento di cambiamento.
Con rammarico e speranza. Un saluto.