Avete sentito la storia di quel tipo, un certo Gastone, che mentre passeggia trova un euro per terra, lo raccoglie, entra dal tabacchino e ci compra una schedina del SuperEnalotto, vince cento milioni, sposa una donna bellissima che gli dà quattro figli meravigliosi e poi, appena uscito con la sua ultima Ferrari dal garage della villa con dieci ettari di parco in cui vive, viene improvvisamente inghiottito dalle fauci di un drago spuntato dalle viscere della terra?
Davvero non conoscete questa storia? Vabbè, dai, era uno scherzo, ovviamente. Non può essere vero. Lo sanno tutti che i draghi non mangiano quelli che vincono cento milioni al SuperEnalotto. I draghi mangiano gli sfigati, quelli a cui non ne va mai bene una. Come il tizio che, appena trova un impiego, l’azienda dove lavora improvvisamente fallisce e lui si ritrova sempre in mezzo alla strada. Finché la moglie, che non è mai stata né bellissima né comprensiva, lo pianta e si porta via i figli a cui ha insegnato ad odiare il padre. Allora lui va in depressione, comincia a bere, si dà all’accattonaggio. Finché un giorno lo chiama un’azienda seria e affidabile che crede in lui, lo assume con un incarico importante, ottimo stipendio e pure ricchi bonus. Allora lui si riprende, si convince che finalmente è arrivato il suo momento, riesce a riunire la famiglia e comincia ad assaporare il gusto della felicità. Poi lo chiama il suo medico e gli dice che ha un male incurabile e gli restano quattro settimane di vita.
Lo vedete che i draghi esistono? Essi sono la più evidente manifestazione di un fenomeno di cui tutti noi abbiamo contezza, seppur la scienza non ne ha (ancora) provato l’esistenza: la Sfiga.
Quello che si sa di questa specie di malattia è che non colpisce tutti, ma solo alcuni. Sembra, però, che quando ti prenda sia implacabile, liberarsene impossibile e che ti costringa ad una vita triste e grama. Si, lo so, sembra la descrizione della vita-tipo di un interista.
In effetti sono disturbi che hanno molti punti in comune. Forse vengono dallo stesso ceppo, chi lo sa. Anche se essere sfigati è meno grave, oggettivamente.

Poi senti il Presidente che dice: “Ci riproveremo l’anno prossimo”. E ti cadono le braccia…

Dunque la Juve ce l’ha fatta. E’ riuscita a perdere un’altra finale di Champions. Sono sette su nove giocate. Le ultime cinque addirittura consecutive. Pensate che c’è ancora qualcuno che tenta di spiegare che la sconfitta è stata causata dalla panchina corta. Altri attribuiscono le responsabilità al campionato italiano, troppo scarso e poco allenante. Qualcuno si spinge oltre e osa: è solo sfortuna. Sfortuna?
Premesso che una squadra sfortunata non può vincere 35 scudetti, 12 Coppe Italia e tutti i titoli internazionali possibili. Poi, se fosse sfortuna, sette sconfitte su nove sarebbero una dose di sfiga così massiccia che i draghi avrebbero da tempo raso al suolo tutta Vinovo. Anzi, tutto il Piemonte e parte della Cina, fino a Milano compresa. Quindi la sfortuna non c’entra! E neanche le panchine corte o lunghe o il livello dei campionati: tutte fregnacce.
Dopo aver perso sette finali su nove non è più tempo per le cazzate, è ora di agire. E’ necessario innanzitutto smetterla di vedere queste sconfitte singolarmente, come se ognuna fosse indipendente dall’altra. E’ l’esatto contrario, invece. Sono tutte tra loro legate e causate dallo stesso problema, un problema che è stato ignorato per troppo tempo e che ha potuto continuare a fare tutti questi danni. Scovarlo non è facile. Servono metodo, esperienza e, soprattutto, un approccio razionale. Chi meglio di uno che crede nella sfiga e nei draghi, dunque?

Poi senti il Presidente che dice: “Ci riproveremo l’anno prossimo”. E ti cadono le braccia…

C’è, ci deve essere qualcosa che unisce la Juve di Longobucco, che nel ’73 perse contro l’Ajax a Belgrado, a quella di Rincon che si è fatta asfaltare dal Real a Cardiff. Sono passati 44 anni, anni di sconfitte amare, nel corso dei quali è cambiato tutto: giocatori, tecnici, dirigenti. Più è più volte. Perfino il calcio è cambiato, anche nelle regole.
La Juve perdeva finali quando il portiere poteva ancora raccogliere con le mani il retropassaggio dei compagni e si potevano fare solo due sostituzioni e continua a perderle oggi che hanno appena approvato il quarto cambio nei supplementari e la moviola in campo. Però ci sono due elementi che invece sono rimasti inalterati: la proprietà e il sistema di gioco utilizzato dalla Juve.
Comincio dalla prima: nessuno crede che la Famiglia Agnelli si venda le finali, ci mancherebbe. Se non altro perché sono loro i primi a rimetterci. Però è anche vero che sono i primi responsabili di questi disastri europei, esattamente come sono i principali artefici delle vittorie prevalentemente nazionali. C’è altro da dire ma lo farò dopo, per comodità di esposizione.
Veniamo all’altro elemento comune. Quando parlo di sistema di gioco non mi riferisco ai moduli né tantomeno agli schemi, ma ad un concetto più generale e ampio, più filosofico: l’idea di fondo che si ha del calcio, il principio con cui si intende affrontare l’avversario. La Juve è da sempre, in tutto il mondo, lo stereotipo del calcio all’italiana, inteso come approccio difensivistico al calcio, esattamente come il Real è il suo opposto: la faccia del calcio offensivo. Quando parlo di calcio all’italiana, non mi riferisco al catenaccio. Anche se poi, tutto sommato, è proprio da quello che deriva, seppure riveduto, corretto e aggiornato per adattarsi ai tempi moderni. Un tempo si faceva il catenaccio puro, in dieci nella propria area con le marcature a uomo e giù, mazzate alle caviglie!
Oggi è cambiato, è più moderno. Oggi si gioca con i centravanti che fanno i terzini... Ma il concetto di base è sempre lo stesso, il primo comandamento è ancora quello di un tempo: innanzitutto non bisogna prendere il gol che può farti perdere. Poi, se riesci a segnare hai vinto, sennò comunque pareggi. Sapete perché la Juve è l’unico grande club europeo che utilizza questa mentalità, mentre tutti gli altri, nessuno escluso, partono dall’idea che bisogna invece andare a segnare il gol che fa vincere la partita? Perché così ha sempre voluto e continua a volere la proprietà, cioè la Famiglia.
Ad onor del vero, la scelta è stata quasi obbligata. Andò così: la Juve è una squadra italiana, che gioca nel campionato italiano, dove tutte le squadre partecipanti giocano il calcio all’italiana. La logica dunque imponeva: se anch’io uso lo stesso sistema di gioco, avendo quasi sempre i giocatori più forti, visto che sono il più ricco e posso permettermeli, vincerò più di tutti. Infatti è sempre stato così. L’anno prossimo, con la conquista del settimo scudetto consecutivo, la Juve avrà vinto da sola gli stessi titoli delle due cinesi di Milano messe insieme. Il risultato aggregato della Champions invece è nettamente a favore della Cina: 10 a 2. Il tempo per recuperare e riequilibrare la gara ci sarebbe, giacché prima che quel 10 si schiodi da lì ci vorrà tempo, molto tempo. E’ più probabile che ghiacci prima l’inferno, in effetti. Purtroppo neanche quel 2 promette variazioni a breve termine. A meno che qualcuno non faccia arrivare a Torino il grande segreto che sto per svelare.
Avevo promesso di completare il discorso sulla Famiglia. Ieri Allegri ha rinnovato il contratto: tre anni a sette milioni l’anno, come Higuain. E’ il premio per il lavoro svolto. Qualcuno potrebbe pensare: ma come, lo premiano per aver perso due finali di Champions in tre anni? Già, ma ha vinto anche tre scudetti e tre Coppe Italia.
A Torino preferiscono i titoli nostrani.
Ricordate Ancelotti? Fu chiamato proprio per cambiare la mentalità. Fece un ottimo lavoro, ma per due anni non riuscì a vincere nulla: fu cacciato con ignominia. Non solo, fu proprio abiurata la scelta e, al suo posto, fu richiamato un restauratore: Marcello Lippi. Arrivarono altri scudetti e un’altra finale di Champions. Persa, naturalmente. Proprio contro il Milan di Ancelotti. Tu chiamala, se vuoi, nemesi…

Poi senti il Presidente che dice: “Ci riproveremo l’anno prossimo”. E ti cadono le braccia…

La maggior parte della gente crede che il campionato e la Coppa siano la stessa cosa, che siano lo stesso sport. Anche a Torino ne sono convinti. Che errore! La differenza che passa tra il campionato e la Coppa, qualunque Coppa, è la stessa che c’è tra lo sci alpino e lo sci di fondo. Una gara di slalom o di discesa libera vi sembrano uguali alla 50 chilometri di fondo? A parte il fatto che entrambe richiedono l’uso di attrezzi chiamati sci, peraltro tra loro diversissimi e che si disputano sulla neve, per il resto sono due sport diversi. Esattamente come, nel calcio, il campionato e la Coppa. E’ vero, le squadre sono le stesse, entrambe si affrontano con 11 uomini e tutti aspettano la fine della partita per scoprire chi sarà il prossimo allenatore dell’Inter. Però poi basta, finisce lì, non ci sono altre affinità. Basti pensare che perfino i risultati e il vero protagonista del calcio, il gol, sono calcolati diversamente. Nel campionato un gol vale sempre un gol, nelle Coppe dipende: se lo segni in casa vale come in campionato, ma se lo fai in trasferta allora vale doppio. Vi sembra una differenza da poco? Inoltre, nel campionato, ai fini della compilazione della classifica, vengono omologati due risultati: la vittoria e il pareggio. Ogni campionato vinto, ogni qualificazione alle Coppe o salvezza raggiunte sono state ottenute anche grazie ai pareggi. Nella Coppa, invece, il pareggio non esiste, è vietato dal regolamento. Addirittura, nella Coppa, il pareggio è visto come qualcosa di osceno, di intollerabile. Al punto tale che, se a fine gara due squadre non sono riuscite a superarsi, vengono costrette a giocare ancora mezz’ora per provarci. C’è stato un tempo in cui, chi osava pareggiare, veniva condannato a rigiocare l’intera gara il giorno successivo e, in caso di ulteriore pareggio, si definiva il vincitore con il lancio della moneta. Questo sistema è stato in seguito sostituito da una ridicola lotteria, quella dei calci di rigore, perché cominciarono a sparire le monete e molti arbitri finirono sul lastrico. Non si è mai saputo chi le rubasse, ma ci sono testimoni che affermano di aver visto i giocatori di una squadra con la maglia nerazzurra che, quando rientravano negli spogliatoi, avevano le saccocce dei pantaloni rigonfie e da lì proveniva uno strano tintinnio, che essi cercavano di coprire gridando: “Al ladro! Al ladro!”. Probabilmente, a breve, anche la ridicola lotteria dei rigori verrà cancellata e sostituita con qualcosa di diverso: o la corsa con i sacchi, o una bella gara di rutti. Del resto, il valore tecnico sarebbe uguale a quello che garantiscono i rigori.

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Proviamo a fare un gioco. Chiudete gli occhi e rilassatevi. Ora costruite nella vostra mente la vostra Juve preferita, la Juve all time. Non avete limitazioni, potete fare come volete. Potete mettere Sivori con Dybala, Platini con Zidane, Scirea con Bonucci. Fatto? Bene. Ora schieratela in campo per una finale di Champions. Certamente, quale che sia stata la scelta di ognuno, si tratta di squadre da paura, tra le più forti di tutti i tempi. Ora aprite gli occhi e guardatela giocare. La riconoscete? Massì, dai, è proprio quella! E’ la squadra con undici giocatori dietro la linea della palla. E’ da questo che si riconosce la Juve in Champions, mica serve guardare la maglietta. La Juve è l’unica squadra al mondo che gioca una partita secca come se fosse una gara di campionato. Sta lì, rintanata nella sua trequarti, nel disperato tentativo di non prendere il gol che potrebbe segnare la sconfitta, convinta che se ci riesce, anche se non segna, magari pareggia. Nonostante in quella manifestazione il pareggio non è riconosciuto dal regolamento… Forse puntano a vincere dopo i supplementari nella gara di rutti? La Juve è l’unica squadra al mondo in cui i centravanti che hanno vinto la Champions nel loro ruolo, segnando 30 gol a stagione, quando sbarcano a Torino fanno fatica ad arrivare in doppia cifra. E dopo un paio d’anni di permanenza finiscono a fare i terzini. La Juve è l’unica squadra al mondo in cui l’attaccante di maggior talento del pianeta gioca a centrocampo. La Juve è l’unica squadra al mondo che, pur con quattro attaccanti puri contemporaneamente in campo, gioca ad una sola punta. La Juve è l’unica squadra al mondo, tra i top club, che gioca all’italiana da quarantaquattro anni e non cambia mai, neanche dopo la quinta finale consecutiva persa, settima complessiva. La Juve è l’unica squadra al mondo che pretende di vendere milioni di magliette nei Paesi emergenti per incrementare il fatturato. Perché poi un bimbo cinese, indonesiano o dell’immancabile Papuasia del Nord dovrebbe volere una maglietta di Dybala, non è ben chiaro. Forse per meglio farsi prendere per il culo dai suoi amichetti che indossano quella di CR7? Se continua di questo passo, la Juve le sue magliette le venderà solo a carnevale. E neanche tante, visto che in quel mercato l’Inter è leader da decenni.

Poi senti il Presidente che dice: “Ci riproveremo l’anno prossimo”. E ti cadono le braccia…

Numeri! Numeri! Numeri! C’è una squadra che, da qualche anno, si è aggiunta al club dei… top club: l’Atletico di Madrid. E’ l’unica squadra europea che condivide con la Juve la stessa visione ideologica del calcio: prima la difesa, sempre e comunque. E’ anche l’unica squadra ad aver fatto, in percentuale, peggio della Juve nella Champions: 3 finali, 3 sconfitte. Il 100%.
Numeri! Numeri! Numeri! Sapete quanti gol ha segnato la Juve nelle 9 finali che ha disputato, nonostante abbia sempre potuto schierare attaccanti tra i più forti al mondo? Cinque. Di cui uno su rigore. Quindi solo 4 su azione. Quattro gol in nove partite, alla media di meno di mezzo gol a partita. Una squadra che in una finale di Champions segna meno di mezzo gol, come dovrebbe fare a vincere? Non può. Infatti perde. Qualcuno a Torino pensa che le sette sconfitte sono frutto della sfortuna. Non ha ancora capito che, invece, sono le due vittorie ad essere state botte di culo. Che dite, glielo diciamo o per non disturbarli li lasciamo dormire?
Numeri! Numeri! Numeri! Sapete qual è la media gol del Real nelle finali di Champions? 2,3 gol a partita. Ogni finale segnano più di due reti di media. Che dite, sarà per questo che ne hanno vinte dodici e perse solo tre?

Poi senti il Presidente che dice: “Ci riproveremo l’anno prossimo”. E ti cadono le braccia…

La sconfitta di Berlino fu festeggiata quasi come una vittoria.
Troppo forte il Barça per poterlo battere, si disse. Vero, il Barça era più forte. E allora? Atene, 25 Maggio 1983. La Juve di Boniek e Platini, prima squadra della storia ad arrivare in Finale da imbattuta, si appresta ad asfaltare il parvenue Amburgo di Felix Magath. Nessuno concede mezza chance ai tedeschi. Troppo più forte è quella Juve. Come finì? Juve 0 – Amburgo 1. La Juve è l’unica squadra al mondo capace di perdere le finali sia contro avversari più forti che più deboli. Comunque, dopo Berlino decisero di “riprovarci l’anno prossimo”.
Avendo preso tre gol dai catalani conclusero che bisognava rinforzare la fase difensiva.
Da lì partì la rivoluzione: tutti gli attaccanti disponibili, contemporaneamente in campo a fare i difensori: Mandzukic terzino, Dybala mediano. Peccato per l’infortunio di Pjaca. Con lui schierato sulla stessa linea di Buffon, le cose sarebbero potute andare diversamente a Cardiff. In ogni caso il Real ne ha fatti 4.
Non oso immaginare cosa potrà succedere ora. Forse faranno un tentativo per CR7, visto che Barzagli ha l’età che ha e andrà sostituito. Vada come vada, a Torino non cambiano dopo una sconfitta. E’ questa la forza della Juve. Forse, però, dopo che le sconfitte sono diventate sette, non sarebbe il caso di rivedere la strategia?
Non ci contate, non succederà. Le convinzioni restano granitiche. Solo una cosa viene prima della difesa ad ogni costo: lo scudetto ad ogni costo.
Fra 10 anni potremo gridare con orgoglio: abbiamo vinto 45 scudetti, 20 Coppe Italia, 3 Champions e perso 15 finali. Noi siamo la Juve!

Volevo scrivere un pezzo su Cardiff. Poi ho sentito il Presidente che dice: “Ci riproveremo l’anno prossimo”. E mi sono cadute le braccia.
Ecco perché ho dovuto usare i piedi. Siate indulgenti.