Ci sono quelle sere che proprio vuoi dimenticare, come se fossero un brutto incubo che al mattino svanisce con un sospiro. Poi invece ci sono situazioni che sembrano riproporsi, come i peperoni dopo una bella cena sostanziosa. L'indigestione in questo caso parte da lontano, da quel Galles che ormai, nella testa dei tifosi juventini, rievoca solo brutti ricordi.

Ieri sera, così come qualche mese fa, ecco la riedizione di una squadra a metà; sì, ok, impossibile non notare la lunga lista degli assenti, ma il problema è fondamentalmente tra quelli che invece erano presenti. Andateglielo a spiegare però che la sola presenza fisica, in alcune circostanze, non basta per portare a casa ciò che si desidera. Non basta rispondere al direttore di gara con numero e nome, non è sufficiente apparire sulla distinta; è determinante metterci il cuore, oltre che la testa.

Ecco appunto, la testa è ciò che è mancato alla Juventus e che spesso latita durante le trasferte in campo europeo. Inutile negarlo, l'input deve partire da quel Signore, solitamente sorridente, seduto in panchina. "Porteremo a casa la Coppa" diceva a Cardiff, con un ghigno quasi irriverente. Parole simili, anche a Barcellona. Il risultato è stato il medesimo; due clamorose sconfitte che lasciano un enorme punto interrogativo su quelle che sono le potenzialità di una squadra colma di campioni, o presunti tali.

Di certo non gli si può contestare la formazione; nonostante le assenze, è riuscito infatti a mettere dentro i migliori 11. Un primo tempo all'altezza, una prestazione da squadra matura e conscia dei propri mezzi. Solo apparenza? Evidentemente si. Cosa accade nella testa dei giocatori dopo aver subito un gol? Non dovrebbe essere, in fondo, la fine del mondo; subire gol contro il Barcellona dovrebbe essere la routine, il contrario, anche se accaduto relativamente di recente, è da catalogare tra le eccezioni.

Stavolta non c'è stato nessun Bonucci, reo, secondo i romanzi estivi, di incontri di boxe contro il "povero" Dybala, salvato dall'arbitro Mandzukic. E allora cos'è che accade durante gli intervalli in Europa? Chi prende per mano la squadra quando ci sono attimi di difficoltà? Non lo immagino proprio un Allegri, in versione "Incredibile Hulk", strapparsi di dosso giacca, gilet e anche camicia.

Beh, naturalmente il Mister non è l'unico a doversi addossare le colpe di queste debacle, seppur complice in maniera inequivocabile. Partiamo, ad esempio, da Paulo Dybala, la Joya, quello che ha ereditato un numero importantissimo di maglia. Ma dov'era ieri sera? Forse nello stesso posto in cui era la sera di Cardiff. Cos'è che gli frulla in testa in queste occasioni? Come può, un giocatore determinante come lui, che pochi giorni prima aveva incantato chiunque, offrire una prestazione così incolore da passare al tabellino con un quasi "senza voto"?

E che fine ha fatto il pezzo da 90 (milioni)? Non stiamo a discutere di "panza", di preparazione o di carichi di lavoro nelle gambe, bensì facciamo riferimento alla sua testa. Cosa non va in lui? Sente troppo la responsabilità? Si deprime appena le cose non vanno per il verso giusto? Questo non si sa, ma è certo che da un professionista del genere, che per di più indossa la maglia bianconera, è inaccettabile un comportamento del genere, aggravato anche da quel gesto irrispettoso, incensurabile e inspiegabile a fine partita.

No Gonzalo, così non va proprio. L'Uefa non ha aperto alcuna procedura in merito ad una sua eventuale squalifica, ma mi auguro che la società, in linea con i principi che da sempre fanno parte di quel tanto decantato "stile-Juve", prenda provvedimenti e sanzioni Higuain, come uomo prima che come calciatore.

L'amarezza per ciò che è accaduto sarà, con molta probabilità, cancellata, seppur parzialmente, domenica prossima, quando, forte della sua permanenza all'interno dei confini tricolori, la Juventus metterà in campo tutto ciò che è mancato in Catalogna.