Quest'anno, più che mai, la sfida per il titolo di campione d'Italia vede coinvolte la società di Andrea Agnelli e quella di Aurelio De Laurentiis, con la Juventus a caccia dell'epico record di 7 scudetti consecutivi ed i partenopei, attualmente in vantaggio di un punto, alla spasmodica ricerca di un successo che manca da troppo tempo.

Tuttavia, questa entusiasmante battaglia pare essere uno dei pochissimi punti in comune tra le due compagini, per una serie di motivi che potrebbero apparire ovvi, ma non del tutto scontati.

Alla Juventus è sempre richiesto quel qualcosa in più, quello spunto da grande squadra, da dominatrice assoluta, che non deve ritenersi mai soddisfatta del ruolo di "ammazza campionati" ma è tenuta a farsi rispettare in Champions League; le due finali disputate in tre anni non vengono interpretate come segno di costanza, come il configurarsi di un progetto tecnico avviato dalla gestione Agnelli, bensì son identificate come il non riuscire dei bianconeri ad affermarsi definitivamente anche in Europa, con tanto di ironico slogan "fino al confine", che distorce quello originale.

Da tifoso juventino non mi reputo completamente appagato dalla marcia della mia squadra, in quanto sarei ipocrita a non affermare che mi sarebbe piaciuto enormemente rivedere quella maledetta coppa con le orecchie a Torino, dopo tantissimi anni, ma al contempo non posso neanche negare l'impegno profuso dalla società in tal senso.

Quello di cui invece non mi capacito è l'eccessivo e spropositato, a mio modo di vedere, entusiasmo partenopeo al raggiungimento di obiettivi che, per noi tifosi bianconeri, rappresentano la più normale routine. In Italia, il provvisorio primo posto in classifica, è osannato come uno Scudetto già di diritto cucito sul petto, mentre le clamorose defiance rimediate in Champions, vengono rigirate a mò di frittata sovrapponendo ad esse l'immancabile nota positiva sul bel gioco e sull'aver retto ai fendenti degli avversari per un frangente della partita.

Fossi un tifoso del Napoli, non andrei affatto fiero dei 20 minuti contro il Manchester City, in quanto, ad onor di cronaca, ciò che conta sono le tre sconfitte rimediate in quattro gare che condannano gli azzurri ad una quasi certa retrocessione in Europa League, competizione per la quale forse è più coerente partecipare.

Al Presidente De Laurentiis (recentemente indagato per un sospetto caso di omaggi alla camorra, analogo a quello che ha coinvolto la Juventus) tutto ciò poco importa e, cullandosi sul fatto di aver, a suo dire, il gioco migliore d'Europa al pari del "compare"  Guardiola, non riesce a rendersi conto delle sostanziali diversità tra i due team. Gli inglesi regalano prestazioni da leccarsi i baffi, ma allo stesso tempo sono in grado di concretizzare e di centrare gli obiettivi prefissati; tutto il contrario del Napoli, che forse è chiamato ad un mea culpa per un mercato non all'altezza della situazione.

L'operato di Marotta e Paratici è, sin da luglio, sotto la lente dei più attenti addetti ai lavori e, quasi costantemente, viene messo in dubbio a causa dei milioni spesi e delle cessioni sanguinose. Ma pochi ricordano che i fondi investiti son quelli che giungono nelle casse bianconere sia da cessioni a cifre esorbitanti, che dai ricavi di un progetto che, almeno in Italia, vede la Juve avanti anni-luce rispetto alle dirette concorrenti: lo Juventus Stadium, da poco ribattezzato in Allianz, con tanto di ulteriore cascata di euro nei conti della Signora.

Innegabili gli esborsi cospicui per i vari Douglas Costa e Bernardeschi, potenzialmente contestabile l'acquisto, sotto stretto consiglio di Allegri, di De Sciglio e, forse, in netto ritardo rispetto alle tabelle di marcia gli innesti di Matuidi e Howedes, che di fatto son stati costretti a saltare gran parte della preparazione iniziale, partendo così con gravosi handicap dal punto di vista fisico e di ambientamento.

Se da un lato c'è voglia di rinnovamento di una squadra comunque vincente in campo nazionale da ben sei anni (non scordiamolo!), dall'altro c'è uno spirito di conservazione colpevolmente esagerato per una formazione che, seppur costantemente agli onori della cronaca per il gioco espresso, ha portato a casa le briciole. E alle volte neanche quelle.

Apprezzabilissimo il voler mantenere la spina dorsale della squadra, rifiutando le offerte per i propri gioielli, ma inappropriato, secondo me, l'immobilismo quasi totale in entrata necessario invece per completare una rosa sì competitiva, ma con ampi margini di miglioramento e che non è in grado (e lo sta dimostrando) di rispondere presente a tutti gli impegni della stagione. Panchina corta e riserve non di pari valore rispetto ai titolari, saranno un elemento che potrà certamente compromettere il proseguo dell'annata del Napoli, costretto anche a fronteggiare l'incognita infortuni. Questi, come le squalifiche, sono imprevisti che possono capitare (e capitano sempre!) e per cui è fondamentale non farsi trovare scoperti, nè, allo stesso tempo, rappresentare un alibi per risultati non sempre rigogliosi.

Questione di mentalità e di ambizioni, che alla Juve non mancano di sicuro: se è vero che al Napoli peseranno le assenze di Ghoulam e Milik, nessuno si scordi che ai bianconeri è mancato Marchisio per più di un anno, così come Pjaca, e che tutta la retroguardia, al pari di Khedira e Pjanic, a rotazione va in apnea per via di guai fisici. Tra l'altro, Howedes, preso per rimettere in sesto i meccanismi difensivi, non ha neanche disputato un solo minuto.

Bando alle ciance e al di là dei soliti, quanto ridicoli, piagnistei, ancora una volta (l'ennesima) ci ritroveremo di fronte alla realtà, che vede obiettivamente la Juventus come stragrande favorita ed il Napoli in lotta per un posto nella Champions del prossimo anno, con l'augurio di non recitare più il solo ruolo di  splendida comparsa. Perchè, se i risultati stanno dando comunque ragione ad Allegri nonostante le prestazioni incolori, cosa potrà accadere quando la Juve deciderà di imbastire il suo show?