Il calcio è uno sport che amo, ma argomento di discussione che odio. Lo odio, perché si finisce sempre per parlare con eccessivo livore, immotivato fanatismo, e imbarazzante spocchia, di cose delle quali non si è quasi mai realmente competenti - altrimenti giocavi in serie A, o allenavi in serie A, o gestivi una squadra in serie A - voi direte, va bene, ma non vanno mai avanti i migliori - e io vi dico che è vero, ma state tranquilli, il tifoso medio non è neppure il primo dei peggiori, basterebbe confrontare i suoi pensieri a distanza di mesi. Il punto non è la chiacchiera, anzi. La chiacchiera dello zero a zero è un esercizio di stile, aiuta a svagarsi, e a relazionarsi con gli altri. Il problema è quella rabbia incontenibile, quell'ansia da ultima spiaggia - che poi è sempre l'ultima spiaggia -, la psicopatia selvaggia, quell'essere uterini a seconda di un gol fatto o subito, quei repentini cambi di posizione, di opinione, di striscione, analisi poco tecniche, commenti istintivi, odio immotivato, orgoglio senza senso. Pensate che solo un anno fa Maurizio Sarri, figlio di uno che lavorava nell'italsider di bagnoli, era da buttare - non doveva arrivare a mangiare il panettone a natale, eppure oggi invece lo vedete manovrare le redini di uno dei più entusiasmanti giochi del calcio europeo. Così come però il presidente resta sempre un pappone, nonostante i migliori risultati gestionali di sempre. Hamsik appannato, prima campione e poi all'improvviso non serve più - ma tanto poi riservirà. Higuain era grasso, "quello pensa solo a mangiare, Cavani era un altro pianeta proprio". "Ma chi è sto allan!” “insigne finito, insigne è grande.” Io parlo di tifosi, dei fanatici, che in italia sono milioni e, prima che fanatici, sono cittadini di una democrazia rappresentativa. che dovrebbe rappresentarli assieme alla loro pericolosissima capacità compulsiva di cambiare parere o al contrario ostinarsi a prescindere su futilità, spinti da impulsi emozionali che poco hanno a che fare con la logica, lo studio del passato antico e recente, la critica oculata che ti esce quando ci hai sbattuto così tanto la testa che poi hai capito come si fa. Motivo per il quale, la democrazia porta ai seggi anche e soprattutto queste persone. persone stanche, avvilite, frustrate, rancorose, che appoggiano più un'idea romantica e il relativo personaggio buffoncello, piuttosto che un progetto in prospettiva. La fallibilità democratica sta proprio in quest'emotività della maggioranza del popolino, nella conseguente demagogia dei candidati, nella brevità del mandato - che in tre, cinque, massimo sette anni devi dimostrare di essere il più forte e il più bello, e a questo punto fai movimenti ad hoc per truccare la tua amministrazione, i debiti li posticipi alla gestione successiva giocando con gli swap, apri una galleria o un ponte a caso, distribuisci cento euro a tutti, regali buoni spesa, vai a minorenni -, fai il simpatico da mariadefilippi, indichi come capo espiatorio gli extracomunitari di turno e lì diventi il paladino dei poveri. e se invece non fai promesse come un chiacchierone, provi ad aggiustare i conti, cerchi di capire come risolvere il problema per le prossime generazioni, non alimenti un sistema di contratti farlocchi solo per far vedere che l'occupazione cresce, e non dai lavoro a tutti gli amici degli amici costruendoti il solito consenso clientelare, allora fai la fine dei botti. Questo perché bisogna soprattutto mostrare, cosa che oggi è parecchio più determinante del fare - e grazie, questo si sa, prima di mangiare fotografiamo il piatto. a riguardo, esiste una bibliografia infinita sul paradosso della democrazia. il teorema dell'impossibilità di arrow, la tesi del barone di condorcet, john rawls, il nobel paul samuelson. i quali, senza entrare troppo nel merito, sostenevano tutti la stessa cosa. e cioé, che se si fosse fatto un referendum a fine settembre scorso, per decidere di esonerare Sarri, state sicuri che quest'ultimo sarebbe stato mandato a coltivare la terra a poggibonsi, quasi all'unanimità. (Fonte: http://www.auanasgheps.com/diario/1479/il-napoli-e-il-bluff-della-democrazia)