Lo scrittore americano Marc Brown una volta disse: “A volte essere un fratello è ancora meglio che essere un supereroe”. Ciò è tanto più vero se tuo fratello è celebrato e conosciuto in tutto il mondo. A volte si nasce senza sapere che un giorno verrai ricordato unicamente come “fratello di” e non importa quanto ti sforzerai per ritagliarti lo spazio che meriti: rimarrai inevitabilmente oscurato. Nello sport è accaduto (e accadrà ancora tante volte): Serse Coppi, Ferruccio Mazzola, Prudencio Indurain, Ralf Schumacher, Eddy Baggio, Federico Higuain sono solo alcuni esempi. Se poi il tuo cognome è Maradona e calci un pallone, il tuo destino sarà segnato. Il paragone riguarderà sempre, costantemente, il dio del calcio: Diego Armando.

Hugo Hernán Maradona, detto El Turco, nasce a Lanús il 9 maggio del 1969. Hugo è un destro naturale, parecchio dotato tecnicamente. Un giorno di primavera del 1985 sembra essere nata una stella: Hugo gioca da titolare il match Argentina-Congo, mondiali under 16 in Cina. La partita finisce 4-2 e Hugo mette a segno una doppietta spettacolare, centrando anche il “sette” con una gran punizione. Diego, spettatore dell'incontro, sentenzia: “Diventerà più forte di me”. In realtà mente sapendo di mentire ma, come sponsor, funziona benissimo.

Hugo Maradona, come Diego, debutta in Primera División con l’Argentinos Juniors, club nel quale El Turquito gioca per due stagioni senza entusiasmare (19 presenze, un solo gol). Nel 1987 Diego, campione del mondo e campione d’Italia in carica, convince il presidente Ferlaino a portare suo fratello al Napoli. Ma le regole vigenti all’epoca impongono ai club di Serie A di avere in rosa solo due stranieri e il Napoli non può permettersi di occupare il secondo slot disponibile (il primo è dell’intoccabile Careca). Così l’allora direttore generale Luciano Moggi è costretto a trovare una squadra in cui parcheggiare il giovane Maradona. Il neopromosso Pisa del vulcanico presidente Romeo Anconetani, rifiuta con uno sdegnato: “No, grazie”. Con il Pescara le cose non vanno meglio: il tecnico Galeone non ne vuole sapere. Alla fine è Costantino Rozzi, istrionico presidente dell’Ascoli, ad accettare di mettere sotto contratto l’argentino. Pare che lo stesso  Diego abbia minacciato i vertici del Napoli: “O prestate i soldi all’Ascoli per comprare Hugo, o vi scordate i miei gol!”. Per scongiurare ripensamenti, all’Ascoli, fresco vincitore della Mitropa Cup, vanno in prestito anche Costanzo Celestini e Fabio Carannante.

Hugo Maradona è pronto a lanciarsi nella sua avventura italiana. Il suo curriculum non è di certo esaltante, ma durante la preparazione sembra promettere bene, tanto che Ilario Castagner, allenatore dei marchigiani si sbilancia: “Possiede un ottimo controllo che gli permette dribbling strettissimi e rapidi. Arriva in area in ottime condizioni per il tiro a rete. Sa dare bene anche la palla ai compagni, passaggi millimetrici e smarcanti. E non è male nemmeno il tiro: secco e preciso”. L’inizio di una favola? Macchè! In Serie A Hugo gioca 13 partite (anche al San Paolo contro Diego), solo tre volte da titolare indossando con il numero 10 sulle spalle. Le sue prestazioni sono disastrose. L’Ascoli riesce comunque ad evitare la retrocessione grazie ai gol di Wálter Casagrande Júnior, ma tutta l’Italia si rende conto che “Maradonino” è inadeguato per la Serie A. Un quotidiano dell’epoca scrive: “Il baby Maradona si è installato in un appartamento con un’amica napoletana. Ha diciotto anni, la faccia imberbe, una tecnica semi-squisita che sciorina sin dal debutto, ma nessuna voglia di soffrire”.

Se in campo le gambe girano alla velocità di un bradipo, la lingua dell’argentino ha sempre mantenuto ritmi sostenuti, tanto che le sue dichiarazioni spavalde sono presto diventate un cult:

Voglio diventare un protagonista del vostro calcio e rispondere sul campo al veleno di tante chiacchiere. Pescara e Pisa non mi hanno voluto? Hanno detto che sono la controfigura di Diego? Se ne pentiranno amaramente!

Chi sono? Un centrocampista puro, un vero trascinatore. Mi sono buttato anima e corpo in questa terribile cura del signor Castagner perché la maglia numero 10 la pretendo subito, sin dalla prima partita in Coppa Italia.

Guardi queste gambe: sono di acciaio. Quando le agito sono due pale che nessuno può fermare. Si ricorda il gol di Diego contro gli inglesi? Be’, se voglio, la palla non me la toglie nessuno! Io so conquistarla e difenderla coi denti!

Io non sono un giocoliere, non sono un clown! Io sono altruista, io sono un calciatore ultramoderno! Trascino i compagni, rifinisco, segno.

Io ho una mia ben precisa personalità e quando decido di giocare, gioco alla Huguito. Insomma, mi guardo bene di fare la cattiva imitazione di Diego. Sono El Turco o El Turquito e col pallone so fare tutto, anche l’amore se voglio, capito?

Nell’estate del 1988 il Napoli riesce a scaricarlo in Spagna, al Rayo Vallecano. In Segunda División gioca 35 partite arricchite da 6 gol e contribuisce attivamente alla promozione della squadra nella Liga, ma in terra iberica viene ricordato soprattutto per questa perla di saggezza rilasciata a El País: “Non siamo attori. Gli attori si vestono, si truccano. Noi entriamo in battaglia senza inganni. Il pubblico paga per lo spettacolo. Al teatro gli attori non perdono. Il pubblico esce contento. Questo è il rischio del calciatore. Se perde, la gente può tirarlo giù dal piedistallo”. A fine stagione lascia il Rayo e si trasferisce al Rapid Vienna (6 presenze e 0 gol). Ma in Austria fa troppo freddo per Hugo, che decide così di chiudere la sua avventura europea.

Hugo Maradona torna in Sud America: gioca un anno in Venezuela nel Deportivo Italia, poi passa al Progreso di Montevideo nella Primera División Uruguaya, senza mai scendere in campo. Nel 1992 Hugo parte alla volta del Giappone, che lo accoglie a braccia aperte e lo trasforma in una delle stelle del calcio del “Sol Levante”. Debutta in Football Lague coi PJM Futures di Shizuoka e diventa subito un idolo. L’anno seguente nasce la J League, la lega professionistica, di cui la Football League diviene la seconda divisione. Nel 1995 El Turco passa ai Fukuoka Blux, divenendo protagonista della promozione in massima serie. Poi si trasferisce al Consadole Sapporo, ottenendo un’altra promozione. Nel 1999 Huguito lascia il Giappone per giocare (in modo anonimo per la verità) con i Toronto Italia, nella Canadian Professional Soccer League. Nella stagione ‘99/’00, decide di tornare in Argentina, all’Almirante Brown de Arrecifes in Segunda División.

Chiude con il calcio a soli 28 anni, senza clamori e senza rimpianti.