Come nelle più drammatiche tragedie shakespeariane, il calcio moderno da tempo fa i conti con un dubbio amletico “esultare, o non esultare, questo è il problema”. La famosa frase “essere, o non essere” si trasforma così in qualcosa di più viscerale ed emotivo. Parliamo del famigerato “goal dell’ex” nel calcio, la rete segnata da un calciatore alla sua ex squadra.

Da quando esiste il calciomercato, i giocatori cambiano maglia e, nonostante questo piccolo inconveniente, purtroppo o per fortuna, continuano a segnare. Così può accadere che si faccia goal contro il proprio passato, contro l’ex-tifoseria che non dovevi tradire e che da oggi ti odierà non solo per il trasferimento ma anche per il goal appena segnato, contro l’ex presidente che ti ha voluto a tutti i costi e che ti ha venduto a tutti i costi, contro l’ex-magazziniere che ti ha voluto bene come un figlio e che ti ha sostituito con il nuovo arrivato. Il gol dell’ex è diventato un caposaldo del calcio, quasi una regola, soprattutto perché oramai un calciatore cambia così tante maglie nella carriera che è inevitabile che ciò non accada.

Ma è giusto esultare o è da considerare un comportamento evitabile, vile e irrispettoso? Come in ogni rapporto, spesso dipende da come ci si è lasciati. I fattori sono tanti: i rapporti con la curva e con lo spogliatoio, i piani del mister, l’adeguamento contrattuale, la posizione in campo, la città in cui si abita, la vicinanza delle discoteche aperte il lunedì sera. Una cosa è sicura: trasferirsi nella squadra “rivale” non aiuta la separazione. Perché anche se tutte le avversarie sono rivali, in ogni fede calcistica c’è sempre una squadra, o più di una, “più rivale” delle altre. Vestire la maglia così odiata e disprezzata, festeggiare con quelli che un tempo erano i tifosi avversari ed entrare nel tabellino dei marcatori dalla parte del nemico sono un colpo al cuore per i vecchi supporter.  In questi casi, il galateo consiglia di non infierire, di placare ogni gioia, ogni esultanza o emozione nascondendola con la peggiore espressione di lutto al cuore.

Ma il rispetto funziona a senso unico? Lo si deve ai vecchi o ai nuovi tifosi? Come si suol dire, la coperta è corta. Sicuramente ci vorrebbe buon senso, da parte dei calciatori e dei tifosi. La valutazione dovrebbe rientrare in un intervallo che ha come estremi Quagliarella e Bernardeschi. Quagliarella fischiato, odiato, maltrattato, che ha cambiato tante maglie, che continua a fare goal e che continua a soffocare le urla ad ogni rete segnata contro i suoi vecchi colori. Bernardeschi che se ne frega, e che fa notare come il rispetto per gli ex tifosi possa trasformarsi inesorabilmente in mancanza di rispetto per i nuovi tifosi. Quagliarella, in effetti, ne sa qualcosa, quando non esultò per un rigore trasformato con la maglia del Torino contro il “suo” Napoli, facendo innervosire non poco i tifosi granata. Recentemente anche Higuain, Pandev e Icardi, per motivi diversi, hanno scelto di esultare. Palacio oggi contro l’Inter ha preferito astenersi.

Alla luce dei fatti non esiste una risposta ragionevole. Esultare, perché il senso del calcio è far goal, o fingere, come un attore di teatro, con teschio in mano, recita le parole “essere o non essere”? I calciatori sono dei bravi attori solo quando si tratta di simulare un fallo subito, per il resto è tutto più complesso, esiste più che altro una risposta di cuore, dipende dai sentimenti, dalla posizione occupata nel “divorzio”, da vittima a carnefice il passo è breve e, non me ne voglià chi crede di detenere la verità assoluta, dipende dai punti di vista.