Se si chiedesse a un qualunque appassionato di calcio un parere sul più forte giocatore mai esistito, la risposta sarebbe ovvia: uno fra Maradona e Pelè. Se invece lo si chiedesse ad uno dei due diretti interessati, il Pibe de Oro nel dettaglio, questi, con la sua parlata argentina risponderebbe senza esitare: “Jorge Alberto Gonzàlez Barillas”, detto El Màgico.

Ultimo di 8 figli di una famiglia poverissima di San Salvador, Jorge Alberto Gonzàlez Barillas è stato, secondo Diego Armando Maradona, il calciatore più forte di tutti i tempi. In campo deliziava chiunque lo vedesse: numeri inconcepibili, tacchi in continuazione, rabone, elastici, gol. Un giornalista che lo vide all’opera quando aveva ancora 16 anni, dopo essersi ripreso dall’estasi lo battezzò come “El Mago”.

A 17 anni viene acquistato dal Club Deportivo FAS di Sant Ana, a cui fa vincere due titoli nazionali consecutivi e una Coppa Campioni CONCACAF, trascinando al contempo la sua nazionale ad una storica qualificazione ai Mondiali di Spagna ’82. In terra iberica va come deve andare, i salvadoregni mettono in mostra tanta buona volontà e poco altro, subiscono tre sconfitte (tra cui un umiliante 10-1 dalla decadente Ungheria), ma Gonzàles fa stropicciare gli occhi a tutti. Nonostante i pessimi risultati della squadra, El Mago gioca talmente bene da venire inserito a fine torneo nella top 11 della manifestazione.

A quel punto gli occhi dell’élite del calcio europeo erano puntati su questo 24enne salvadoregno. Inter, Fiorentina, Barcellona, Sampdoria, Atalanta e Psg se lo contendono, venendo piantati in asso ad ogni appuntamento. González infatti non vuole saperne del calcio europeo, se ne frega dei soldi. Un vero artista, che fa quel che ama e che meglio gli riesce solo alle sue condizioni, quando gli va e come gli va. Ne approfittano i modestissimi spagnoli del Cádiz, club di una piccola città andalusa che si affaccia sull’Oceano e che mai, invece, si è affacciata al grande calcio. Lo farà potendo contare sul più grande giocatore di sempre, perché González decide che quel piccolo club può meritare la sua arte e a sorpresa ne accetta la corte, scatenando l’ovvio delirio nella piccola comunità di tifosi.

Perché proprio il Cádiz? Perché qui il mago potrà avere il palcoscenico tutto per sé, oltre al particolare non da poco che potrà fare, in virtù della sua classe, quello che vuole dentro e fuori dal campo. Perché solo così lui ama giocare, e vivere. Proprio nella piccola città spagnola sarà coniato il suo ultimo e definitivo soprannome: “Màgico

Si parla della seconda serie spagnola, ma è subito una favola: Mágico González si presenta a modo suo, gol all’esordio e 15 in 33 gare totali, quanto serve per portare la piccola città andalusa tra le grandi potenze calcistiche del Paese.

Mágico González in campo è una furia: corre su ogni pallone, lotta, pressa, chiama il pallone in continuazione. Il suo è un gioco fatto di continue finte e controfinte, di “rabone”, veroniche, colpi di tacco e doppi passi. Segna e fa segnare, perché quando alla fine ti passa la palla puoi stare certo che te la metterà in un modo tale che tu non possa fare danni. Fenomenale.

Gonzàles trascina la squadra in Liga e non lascerà mai il centro andaluso (esclusa una parentesi di 6 mesi al Real Valldolid nell’85 per divergenze con l’allenatore), nonostante la retrocessione dell’anno seguente e le irrifiutabili proposte che gli arrivano dai più grandi club del mondo. Continuerà a far innamorare i tifosi dei gialli, riportandoli nella massima serie e facendoli divertire fino al ’91, anno del suo ritorno in patria.

Nel mezzo tanti aneddoti, troppi. Amante della bella vita, delle donne e delle discoteche, il mago adorava ballare più che allenarsi, e dormire ancor più che ballare. Si racconta che un dipendente della società spagnola avesse il compito di svegliarlo ogni mattina per gli allenamenti. A volte Màgico non rispondeva alla porta: era solito infatti addormentarsi nella cabina del dj dei locali che frequentava per sfuggire ai controlli. Altre volte ancora servivano degli espedienti per farlo alzare dal letto: un compagno di squadra gli mandò in camera la banda del paese per svegliarlo, lui lo fece ma precisò di averlo fatto solo perché la musica era di suo gradimento.

Difficile non innamorarsi di lui. Uno degli episodi più clamorosi si ebbe nel 1983 quando non si svegliò in tempo per la semifinale del Torneo Ramòn de Carranza contro il Barcellona. Arrivato allo stadio alla fine del primo tempo sul 3 a 0 per il Barça, gonfio di sonno, Gonzàlez venne mandato in campo per i secondi 45 minuti nonostante il diktat del presidente intenzionato a cacciarlo per sempre dalla squadra. Due gol, due assist e giocate inverosimili: 4 a 3 finale per gli andalusi e il Mago portato in trionfo.

Una volta fu invitato alla tournèe del Barcellona negli USA, subito dopo la retrocessione del Cadice. Gonzàlez vi prese parte schierandosi in attacco al fianco di Maradona e Cruijff. L’esito fu il seguente: li oscurò totalmente con le sue giocate, estasiando il Barça che sembrava disposto a tutto pur di assicurarsene le prestazioni. Fino all’ultimo giorno quando, scattato l’allarme nell’albergo dove i catalani soggiornavano per un presunto incendio, Màgico non battè ciglio e non si mosse dalla sua stanza. I dirigenti lo andarono a cercare e, diverse ore dopo, trovarono l’attaccante in compagnia di una bionda californiana: il nostro eroe si giustificò ammiccando un “non avevo ancora finito con lei”. Ovviamente il Barça non lo prese. Questo il suo commento più celebra circa la sua vita privata: “Riconosco che non sono un santo, che mi piace la notte e che la voglia di far baldoria non me la toglie neanche mia madre. so che sono un irresponsabile e un cattivo professionista, e può essere che stia sprecando l’opportunità più grande della mia vita. lo so, ma ho una pazzia in testa: non mi piace approcciarmi al calcio come ad un lavoro. se lo facessi non sarei me stesso. gioco solamente per divertirmi”.

Tornato a San Salvador nel ’91, dopo aver disputato altri 7-8 campionati nel FAS vincendone un paio, si è ritirato a 42 anni, lasciando figli un po’ ovunque e abbandonando la sua modesta abitazione solo per partecipare ad omaggi alla sua carriera (nel 2006 uno di questi è stato organizzato proprio da Maradona).

Se per qualunque motivo vi troverete in futuro in America Centrale fate un salto a San Salvador, perdendovi nel suo affascinante centro storico. Per muovervi vi servirà sicuramente un taxi. Con un po’ di fortuna potreste imbattervi in un tassista sulla cinquantina, capello lungo e occhiali da sole. Avreste di fronte il miglior calciatore di tutti i tempi.

Nel caso siate così fortunati, salite a bordo, mettetevi comodi e fatevi raccontare la sua storia.