CR7 87,5 milioni di euro annui; Leo Messi 76,5; Neymar 55,5: questo è il podio dei calciatori più pagati del 2017. 
Cifre che non devono sorprendere più di tanto, dal momento che le leggi di un mercato sempre più libero, ma ormai eccessivamente saturo, permettono a chi diventa calciatore di guadagnare milioni. 

Noi comuni mortali, oppressi da una crisi economica senza precedenti, potremmo prendercela facilmente con i diretti interessati, inveendo contro uomini dai conti correnti spropositati. Parallelamente ai singoli calciatori, anche le squadre - vere e proprie aziende ultramilionarie - hanno visto i propri fatturati crescere senza freni, fattore che ha permesso loro di spendere cifre folli sul mercato.
Nel 2010 la UEFA, per meglio controllare l'aspetto finanziario del calcio, ha diramato le ormai note regole del "Fair Play Finanziario", che, detto in soldoni, costringe le società che partecipano alle coppe europee a non aver debiti insoluti con altri club, giocatori o autorità fiscali e sociali. In parole ancora più povere, devono avere i conti in ordine. 

Mi sono perciò chiesto: come si è potuti arrivare fino a questo punto? Se è ingiusto incolpare i calciatori di essere ricchi, chi è il capro espiatorio verso cui addossare la colpa della deriva economica del calcio? 
Dopo svariate ricerche, ho finalmente un nome: William Sudell. 
Nativo di Preston (Lancashire, Inghilterra), questi fu il Manager - passatemi il termine - del glorioso Preston North End, la squadra degli "Invincibili" che nella stagione 1888/1889 non perse neppure una partita. 
La storia di questo club così leggendario mi affascina molto, a partire dalla vicenda che si cela dietro il nomignolo "North End". Nell’estate del 1863 venne disputato il primo incontro di cricket del neonato team, che si tenne a “The Marsh” (la palude), un lembo di terra a ridosso del fiume Ribble nei pressi di Ashton-on-Ribble, per l’appunto. Ashton si trovava nella zona nord-ovest della città di Preston, la zona originaria della squadra che proprio a questo fatto deve il suffisso “North End”.
Il trasferimento nella zona conosciuta come Deepdale non intaccò questa specificità geografica, visto che anch’essa si trova nel nord dell’abitato di Preston. Sì, avete letto bene, il Preston North End nacque come squadra di cricket e, per sopportare gli ingenti costi di gestione, si decise che come secondo sport si sarebbe praticato il rugby.
Fu una scelta fallimentare, perché la città del nord-ovest dell'Inghilterra già ce l'aveva una squadra di rugby, e per giunta molto competitiva. Bisognava ingegnarsi, trovare una soluzione. Nel 1863, in un bar londinese, era nata la Football Associaton e nel 1871, a corredo, la meravigliosa FA Cup. ​​​​​"Proviamo con questo 'football', tentar non nuoce" si convincono a Preston. Mai scelta fu più azzeccata di questa. 

Dopo questa premessa storica, torniamo al protagonista della nostra storia. Sir William Suddel, già giocatore dei "Lilywhites", intuì da dirigente le sconfinate potenzialità di questo nuovo sport, che dalle ristrette università di Cambridge e Shrewsbury si stava oramai espandendo a macchia d'olio, coinvolgendo anche i ceti più poveri, e soprattutto capì che, per aver successo, bisognava attrarre i migliori calciatori pagandoli a peso d'oro. Il Manager del Norh End decise di cercarli in Scozia, dove stavano nascendo nuove tattiche e dove i campioni ce n'erano a iosa:  Nick e Jimmy Ross, David Russell, Geordie Drummond, tutti scozzesi, tutti tremendamente abili col pallone tra i piedi. A loro si aggiungevano alcuni giocatori locali, come Bob Holmes e Fred Drewhurst.

Sudell fu inoltre un abile maestro di tattica, compiendo una scelta avveniristica: passó dall'obsoleto schema 2-2-6 al più redditizio 2-3-5, scalando uno degli attaccanti a centrocampo e favorendo in tal modo il rivoluzionario "passing football" degli scozzesi. 

Ma come accaparrarsi questi campioni, vista la nutrita concorrenza? Tre sterline a settimana e un lavoro in una fabbrica di Preston erano un motivo più che sufficiente, al tempo, per trasferirsi in un'altra città. Pare il principio a decenni di trionfi, ma c'è un però: la Football Association vietava ogni forma di professionismo nel calcio e non si poteva perciò pagare i giocatori.

Così, in seguito ad una cocente sconfitta contro il Preston, l'Upton Park, club di Londra, muove ricorso contro i "Lilywhites", rei di fare gioco scorretto pagando i propri calciatori. La mozione giunge direttamente sul tavolo della FA, dove la commissione - di cui fa parte lo stesso Sudell - da ragione ai club nordici, capeggiati dal Preston, i quali avevano minacciato di abbandonare la Federazione e di riunirsi in una parallela. Era un'eventualità troppo rischiosa, perciò i club del sud - e di Londra in primis - che vedevano il calcio piú come un passatempo, dovettero a malincuore accettare il verdetto definitivo che sanciva la nascita del professionismo nel calcio. Con alcuni paletti - come l'obbligo per i primi due anni di acquistare giocatori che abitano in un raggio di sei chilometri dal centro città - ed altri molto simili a quelli dell'odierno FFP, la storia non sarebbe più stata quella di prima.

Nel XIX secolo valeva davvero l'equazione "più soldi = più trofei", e così il Preston North End inanellò una serie clamorosa di successi: vinse il primo campionato inglese della storia da imbattuto e fu il primo club a centrare il "double", con la vittoria in Fa Cup del 1888/89. E senza subire reti, record impossibile da eguagliare. 

Perciò, se volete prendervela con calciatori ricchi e viziati, lasciate perdere e puntate piuttosto il dito contro Sir William Sudell, un genio che cambiò per sempre il calcio.