Quanto accaduto a Macerata era sicuramente nell'aria da diverso tempo. Tanti, anche negli stadi e nel calcio, gli episodi di razzismo o di fascismo tollerati o repressi in modo ridicolo se non offensivo: dai fatti di Anna Frank al saluto fascista di Marzabotto, per non parlare degli insulti a cui sono soggetti tanti giocatori in un campionato italiano che ha 293 giocatori stranieri, pari al 55% circa del totale. Un campionato multietnico e che a fortiori quando si verificano nel Paese episodi di razzismo e di terrorismo come quelli di Macerata, non lontano nello stile dagli attentati fatti dall'ISIS (stesso odio per il diverso, pur essendo di altra natura la matrice ideologica per alcuni aspetti), non può stare zitto.

Quanto successo a Macerata non è un fatto isolato nato dal niente, è espressione di un Paese che non ha saputo affrontare alla radice certi problemi, ha sempre tollerato e facilitato certi comportamenti, legittimato situazioni di carattere neofascista che fanno del razzismo la propria energia vitale prima di tutto. Forse il momento dello shock è stato talmente forte che non si è avuto il tempo di diffondere messaggi negli stadi il giorno successivo. Si era impreparati. Ora però il tempo dell'elaborazione c'è stato, non si può fare finta di niente, anche per rispetto della componente "straniera" che opera in questo settore: il calcio deve, nella prossima giornata di campionato, scendere in campo per condannare la violenza inaudita di quanto accaduto a Macerata. Non cerchiamo di normalizzare o minimizzare o ridimensionare fatti che rischiano di ripetersi ancora in Italia come altrove.