Partiamo da Barcellona-Atletico Madrid. Potremmo discutere su chi ha meritato di più, sugli errori arbitrali, sulla scarsa vena di Messi-Neymar-Suarez. Ma il reale problema è un altro. Dopo anni di calcio champagne alla conquista della Champions League siamo di fronte ad un dilemma: e se l’autobus davanti alla porta fosse alla pari del Tiki Taka. Premetto, non parlo di spettacolarità, ma chi capisce di calcio sa che difendere bene è, forse, più difficile che attaccare bene. Da sempre, poi, chi prende meno gol vince. Vince i mondiali e vince i campionati. Se vediamo bene la Champions è un’anomalia, ma nemmeno tanto. Chi fa tanto possesso palla non permette all’avversario di attaccare e, quindi, di segnare: questa fu la vera rivoluzione di Guardiola. In realtà Guardiola sdoganò un tipo di calcio che in Portogallo era già famoso negli anni ’80: un sequela infinita di passaggi fino al momento in cui si trovava l’uomo libero da mandare in porta. Solo che il calcio portoghese di quegli anni era frustrato da una lentezza di esecuzione e, soprattutto, da una totale assenza di attaccanti in grado di segnare. Il risultato erano partite noiosissime con 500 passaggi per parte fatti alla velocità di un bradipo. Si è parlato per anni della superiorità del calcio spettacolo, del fatto che in Europa vince chi si propone e non chi si difende. Ma se analizziamo gli ultimi anni appare una realtà sconcertante. Per attaccare e fare spettacolo servono centinaia e centinaia di milioni di euro. Poi si va a sbattere contro un Atletico Madrid o un Benfica qualunque e ci si rende conto che con centinaia di milioni, o addirittura decine, e basta, ce la si gioca alla pari. Non si fa spettacolo, ma ieri sera e anche nella partita di andata, il Barcellona è stato spettacolare come il Verona. Ha strappato una vittoria in casa aiutata dall’arbitro e piange fiumi di lacrime su pretese ingiustizie per la sconfitta di ieri sera, sconfitta strameritata in una partita in cui non è mai stato in campo. Il Bayern, poi, dopo essersi salvato per il rotto della cuffia contro una Juventus che era qualificata fino a un minuto dalla fine, grazie agli arbitri più che al suo gioco spettacolare, ha rischiato con il Benfica che certo non ha budget miliardari e non ha un gioco spettacolare ma che, anzi, fa della difesa il suo reparto più forte. Soprassiederei su PSG-Manchester City, una partita da far guardare a chi dice che le squadre europee riconciliano con il calcio i tifosi italiani massacrati da partite inguardabili giocate a due all’ora nel nostro campionato. Quella fra francesi e inglesi è stata una delle partite più brutte che si ricordino a memoria d’uomo, con errori gratuiti aggravati dalla lentezza del gioco. Passaggi di tre metri sbagliati, cross lanciati a casaccio. Mai un apertura illuminante, mai un taglio. Ibrahimovic che ha passeggiato in mezzo al campo. Un cosa da ultima domenica di campionato italiano fra due squadre già salve. Direi che è stata una partita che ha riconciliato i tifosi italiani col calcio italiano. Unica nota “stonata” di questo mercoledì di coppa il Real Madrid, che aveva, però, già dato il peggio di sé nella partita di andata. Il Wolfsburg, con il suo progetto migliore di quello della Juve e con Draxler erede di Messi, dopo aver passeggiato sui sonnolenti cloni dei giocatori madridisti in casa, è andato a Madrid e ha scoperto che il suo progetto non era poi tanto buono. Ha scoperto che, se il Real gioca, occorre giocare avendo un minimo di idee e non solo facendo girare palla. Ha scoperto che Draxler non è Messi, non è il suo erede non è nemmeno Cristiano Ronaldo. Adesso siamo di fronte a un dilemma: il gioco spettacolo tanto esaltato da Sacchi come si lega al calcio dell’Atletico Madrid? Si tratta di un catenaccio di Rocchiana memoria, Rocco che aveva fior di campioni nel suo Milan, ma che, quando gli auguravano “Vinca il migliore Mister!” rispondeva “Sperem de no!” (cit. Rivera), perché era conscio di come giocava la sua squadra. Eppure ha “creato” il catenaccio, dimostrando che, se davanti hai un paio di giocatori fortissimi, ti basta dargli il pallone con la difesa avversaria scoperta e ci pensano loro. Come insegna Simeone. Adesso occorre una riflessione seria: è realmente servito, negli ultimi anni, snaturare il nostro calcio, fatto di difesa e contropiede, per vedere le squadre italiane uscire ai gironi di Champions o subito dopo, mentre si vedono squadre Portoghesi, Spagnole e simili, che proprio di questo tipo di calcio hanno fatto il proprio segno di riconoscimento ? Forse, in ragione delle scarse possibilità economiche, non sarebbe convenuto a tutti proseguire lungo la strada del calcio italiano classico, meno costoso e più fruttuoso ? Anche perché cercare di fare calcio spettacolo con gli avanzi delle altre squadre europee non sempre porta dei gran risultati. Qualcuno ci riesce, ma non si sa quanto aiutato dalla bravura dei propri giocatori o dalla scarsezza di quelli avversari. La maggior parte, però, mette in campo domenica dopo domenica spettacoli indegni: difese inguardabili, portieri colabrodo, attaccanti improponibili e centrocampisti con la visione di gioco di una talpa. Forse un po’ di autocritica, proprio partendo dai risultati e dal budget dell’Atletico, sarebbe ora di cominciare a farla. Ma non da parte dei club italiani, bensì da parte di tutti quei saccenti (giornalisti, addetti ai lavori, opinionisti) che vogliono esportare il modello Barcellona in Italia. Il modello Barcellona funziona se hai Messi, Neymar, Suarez, Iniesta, Xavi e via dicendo. E, negli anni, si è dimostrato che anche con loro non funziona sempre.