Che si cerchi di cavalcare ogni refolo di vento meno che piacevole provenga da Vinovo, da parte di stampa ed opinione, ci può stare. D'altronde mantenere un livello d'interesse accettabile intorno ad un torneo che, pare, sia fortemente indirizzato ancora una volta verso la Torino bianconera lo giustificherebbe in un certo senso. La stampa deve vendere, possibilmente informando, e se un torneo va in prognosi riservata a fine febbraio restano tre mesi pieni pieni durante i quali fare sì che qualcuno il quotidiano lo acquisti comunque, va da sé. Fatta questa premessa doverosa e sacrosanta va puntualizzato un altro fatto, probabile, che molti vogliono ignorare per tifo, altri enfatizzare per tifo-opposto, e così via: la lite è esistita, si è consumata e probabilmente lascerà strascichi. Lo credo fermamente, da tifoso Juventino, ma anche da persona normalmente intelligente. Un giornalista può enfatizzare una notizia, non inventarla, può infiocchettarla a seconda della propria bravura tecnico-letteraria, ma non modificarla nel suo succo. Veniamo però “al sodo”. Chiunque abbia più di tent'anni ricorderà le cose di cui sto per parlare. C'era una volta una squadra che, dopo nove anni di digiuni sul suolo patrio, aveva appena riassaporato il gusto della vittoria, giocando anche più che discretamente, soprattutto con uno spirito di sacrificio ed una capacità di “spendersi” uno per tutti e tutti per uno, che da anni era mancata. Non era, ancora, la più forte in senso stretto, ma la migliore sì. In quella squadra militava quello che probabilmente era allora e sarà per sempre il più grande talento calcistico che l'Italia abbia mai visto, capace di vincere un pallone d'oro in assenza di ginocchia, entrambe le ginocchia. A quel giocatore Immenso, allenatore e società, chiesero un certo tipo di applicazione tattica che lui non si sentiva in grado di garantire (giusto o sbagliato che fosse, non sarà mai meno Grande per questo) e dunque, senza attriti di alcun genere, si separarono. L'anno successivo, al termine di una stagione esaltante che aveva appena riportato nella bacheca la Coppa che qualsiasi società desidera, il giocatore che probabilmente più di ogni altro aveva incarnato lo spirito guerriero di quel biennio magico, venne ceduto senza troppi rimorsi, reo di aver esagerato con dichiarazioni improvvide e richieste personali giudicate non opportune per tempistiche e modalità dalla dirigenza. Perché riporto alla memoria questi casi? Semplicemente perché questo è il modo di gestire le cose di questa società. Giusto o sbagliato, è questo. Sinceramente mi sorprenderebbe se entrambi, a fine stagione, restassero. Se così fosse vorrebbe dire che davvero probabilmente si è ingrandito qualcosa che così grande non era o che certi principi, opinabili o meno, siano in via di ridefinizione e non saprei se gioirne o meno, onestamente. Io sono un convinto sostenitore del dialogo e della comunicazione, perciò se tra i due ci sia stato o ci sarà un chiarimento vero, bene, altrimenti con il rispetto e la gratitudine per il lavoro di entrambi, tanti saluti. Ai posteri...