Quanto mi piace essere citazionista? Probabilmente troppo, ma non ho ancora trovato un’efficace soluzione per risolvere questo piccolo problema.
E, a proposito di problemi, il protagonista di quest’oggi è caratterizzato da un grattacapo non indifferente, uno di quelli capaci di attanagliarti per mesi e mesi.

Ma procediamo con ordine. Sono abbastanza certo che in molti abbiate colto il riferimento nel titolo: si tratta proprio de “I dolori del giovane Werther”, quotato romanzo epistolare del 1700 ad opera di Johann Wolfgang Goethe, il quale racconta le struggenti vicissitudini dell’omonimo protagonista. Il più classico tra gli amori non ricambiati che, tendenzialmente, spingerebbe chiunque verso uno stato di profonda insoddisfazione. Trasliamo gli elementi chiave di questo romanzo ed adattiamoli ad un ambito molto più frivolo come quello del calcio, magari applicandoli ad un giocatore che, praticamente da anni ormai, fatica dannatamente a ricercare una discreta costanza di rendimento. Ecco a voi la tormentata storia d’amore tra Mattia Destro e la Serie A. Uno di quei rapporti che stenta inspiegabilmente a sbocciare.

I numeri dell'attaccante, volendo prendere in considerazione solo la stagione attualmente in corso, sono tutt'altro che confortanti e soddisfacenti: 6 reti e 4 assist vincenti in 23 presenze, ai quali va aggiunta una serie di prestazioni confusionarie e di basso spessore agonistico. Il tutto, tra l'altro, ha generato sia un calo relativamente importante del valore del giocatore, pagato 8,5 milioni circa 3 anni fa, sia una massiccia revisione delle gerarchie offensive in casa Bologna, con il nostro Mattia Destro più volte relegato in panchina a vantaggio di colleghi come Rodrigo Palacio (36 anni, ndr) e Felipe Avenatti, quest'ultimo alla primissima esperienza nella massima serie italiana. Uno status tendenzialmente preoccupante, insomma, quello maturato recentemente dal calciatore che, per quanto se ne possa discutere, non sembrerebbe avere un'origine ben definita, chiara, delineata. 

Dinanzi ad un andamento che assume tutte le sembianze di un flop, in tanti, a prescindere dal tifo personale, si sono espressi adottando gli atteggiamenti ed i commenti più disparati: vi sarebbe una porzione dei sostenitori del Bologna che avrebbe esaurito la pazienza e che vorrebbe farne un ricordo lontano e vi sarebbe un’altra porzione della tifoseria emiliana che continuerebbe ad esprimere fiducia verso il talento del ragazzo; vi sarebbero addetti ai lavori pronti a mettere la mano sul fuoco legato all'impegno profilato dallo stesso giocatore negli ultimi mesi e vi sarebbero opinionisti/giornalisti dal giudizio spietato. Senza dimenticare, ovviamente, tutti coloro che speculano continuamente sul rapporto apparentemente incrinato con il tecnico Roberto Donadoni. Personalmente, da quest’ultima scia di sciacallaggio, mi sento di prendere la dovuta distanza. E credo che, per quanto possa essere stupido maturare un pensiero del genere, la soluzione al suo problema sia il problema stesso: la continuità, che non si traduce necessariamente come gol a profusione. Una costanza di rendimento che manca da settimane (o addirittura da qualche anno, volendo essere catastrofici), certo, ma non si dica che Destro si sia praticamente arreso a ciò che tutti vogliono far passare come il suo destino. La propria natura, in qualità di rapace d'area testardo e determinato, lo impedisce

Nessun calo di concentrazione, nessuna demoralizzazione, nessuna attitudine sbagliata verso gli impegni, nessuna lacuna nelle proprie capacità, nessun problema o frizione con i componenti del club nel quale attualmente milita. Mattia Destro, semplicemente, ha bisogno di tempo per sbloccarsi, di tempo per rivitalizzare la propria storia d’amore con la rete e, di conseguenza, con tutto l’ambiente Bologna, qualora dovesse essere effettivamente confermato in vista della prossima stagione. Werther, ai tempi, non vi riuscì con la sua amata Charlotte, decidendo di sopprimere la propria angoscia attraverso il suicidio. Mattia, invece, deve riuscirci, a questo punto molto più per il bene della propria carriera che dei rossoblu. Possibilmente senza eccessive pressioni psicologiche che, alla lunga, potrebbero spingere il ragazzo ad un obiettivo diverso, fallimentare: convincersi che accettare la sfida della Serie A abbia decretato, di fatto, il proprio suicidio calcistico.