“di sicuro non sono uno che pensa che con gli schemi si vincano le partite”, la risposta di Massimiliano Allegri, durante la conferenza stampa di ieri, alla domanda del giornalista che, citando a sua volta un’esternazione di Buffon, gli chiedeva se si sentisse un tecnico “sottovalutato” al netto delle vittorie ottenute negli ultimi anni.

Il credo del tecnico livornese è sempre stato chiaro e, allo stesso tempo, vincente per quel che concerne la sua esperienza in bianconero: i calciatori vanno messi nelle condizioni di dare il meglio di loro stessi, in base a quelle che sono le loro caratteristiche e non, viceversa, plasmati in base a quello che è il “credo” di un allenatore. Modo di pensare quello di Allegri che, a mio avviso, si adatta alla perfezione con quello che dovrebbe essere un tecnico in una squadra ricolma di campioni in cui l’allenatore deve essere sia psicologo e abile gestore di uno spogliatoio di “prime donne”, sia in grado di sfruttare al meglio le caratteristiche di tutti i giocatori del suo collettivo e di saperli impiegare nel momento giusto. 

Entrando nello specifico di Allegri, credo che lo storico del ultimi anni parli chiaro e affermi che il tecnico bianconero abbia saputo sia schierare formazioni che, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno portato la sua squadra alla vittoria, sia coinvolgere nel migliore dei modi tutti i suoi calciatori, anche inserendoli a partita in corsa con cambi che sono risultati determinanti, portando i singoli ad una crescita inconfutabile. L’esperienza di Conte è stata straordinaria tuttavia, dopo tre anni di intensità sfrenata, la squadra era arrivata ad essere logora e necessitava, secondo il tecnico salentino, di una profonda rivoluzione; l’arrivo di Allegri e delle sue metodologie più di gestione e di lavoro sui singoli hanno invece dimostrato che il gruppo poteva ancora dare moltissimo, arrivando pressoché con gli stessi giocatori, fino alla finale di Champions al primo anno di guida bianconera.

Il calcio è uno sport meraviglioso, fatto principalmente di una componente emotiva ed istintiva che mai potrà essere ingabbiata in uno schema o, ancora peggio, in un’idea di gioco: concetto, a mio avviso, totalmente inesistente in quanto ritengo che il gioco lo facciano i calciatori e non esistono calciatori creati in laboratorio sulla base di un’idea; esiste al contrario la tattica che però è una cosa totalmente diversa e che è lo studio dell’avversario e le strategie per arginarlo e sconfiggerlo.

Ma del resto un ennesimo fallimento del gioco degli schemi lo abbiamo visto ieri sera, nella partita di coppa Italia persa dal Napoli contro l’Atalanta: la squadra di Sarri, accreditata da molti “addetti ai lavori” come “il miglior calcio d’Europa” esce dalla seconda competizione stagionale dopo la Champions, con una prestazione altamente insoddisfacente.

Laddove in molti vedono una squadra che gioca bene, io invece vedo una squadra che propugna un calcio mnemonico, con movimenti studiati a tavolino e che soprattutto, come nel caso di ieri sera, ha un gruppo totalmente spaccato in calciatori “fidati” del tecnico e altri che invece non sono integrati nel “gioco”; vedere un calciatore con le qualità tecniche di Insigne giocare a due tocchi e non fare un dribbling è, a mio avviso, una tremenda sconfitta per il calcio e non un attestato di “bel gioco”. Ma è un parere personale, ovviamente, perché infondo il bello del calcio è proprio questo e, non essendo appunto una scelta esatta, ci possono essere molteplici visioni e letture.

Per quanto mi riguarda, continuerò a pensare che nel calcio la differenza la facciano il talento, la grinta e la dedizione e che i veri artefici di una vittoria e di una sconfitta siano i calciatori, con l’allenatore che li deve far saper rendere al meglio, cosa tutt’altro che semplice, intendiamoci; al contrario, un calcio dove, parafrasando Arrigo Sacchi, l’allenatore è il regista cinematografico e i calciatori sono gli attori che devono recitare un copione, è un qualcosa di profondamente svilente e limitante.