Alla Seconda Guerra Mondiale la Spagna non partecipò. Il Generalissimo Francisco Franco, consapevole dell'enorme arretratezza economica ma soprattutto militare della Nazione, ulteriormente aggravata da anni di Guerra Civile, decise di non prendere parte al conflitto. Almeno in teoria, visto che gli spagnoli non lesinarono concreti aiuti - in primis denaro e armamenti - nei confronti delle potenze dell'Asse, accomunati da fervide idee nazionaliste che col tempo erano deragliate sui binari del razzismo e dell'illegalità, fino a raggiungere l'acme di un'efferata violenza. 
L'appoggio del "Caudillo" nei confronti di Germania e Italia non fu evidentemente casuale, ma la naturale conseguenza dei rinforzi che Hitler e Mussolini inviarono in Spagna dal 1936 al 1939, in concomitanza con la tragica epopea della Guerra Civile Spagnola. Da una parte l'esercito regolare spagnolo, espressione del governo in forza e coadiuvato da svariate forze politiche (democratiche), dall'altra i Nazionalisti, appoggiati da Nazisti e Fascisti e guidati da Francisco Franco, il quale, dopo sanguinose battaglie, vinse ed instaurò una dittatura destinata a durare nei decenni seguenti.

Una dittatura che, nel mondo del calcio, la Nazionale spagnola è destinata a consolidare e rafforzare nei prossimi anni.
Sono conscio del fatto che politica e calcio sono due mondi agli antipodi, due sfere che solo raramente possono collimare trovando punti d'incontro, ma è evidente che i risultati che la Spagna sta centrando da tempo e le modalità con cui essi vengono colti assomigliano in toto alla forma di governo in cui è uno solo a decidere le sorti di molti. 
Il funambolico 6-1 con cui le "Furie Rosse" hanno annichilito l'Argentina lo scorso 27 marzo è solo la punta dell'iceberg di un movimento calcistico in continua espansione. Guardando i calciatori delle giovanili in rampa di lancio, ci si chiede se il meglio non debba ancora venire. 

Il futuro della porta è pressoché ipotecato per i prossimi vent'anni grazie a Kepa Arrizabalaga, il "nuovo De Gea - o forse, semplicemente, Kepa - già opzionato dal Real Madrid, che difende i pali dell'Athletic Bilbao, lui basco fino al midollo. Nel reparto difensivo - posto che Aymeric Laporte, seppur ancora molto giovane, dopo il passaggio al City rappresenta una solida certezza - il talento non manca di certo.
A partire dai centrali: Jesus Vallejo, che dopo essersi fatto le ossa all'Eintracht Francoforte è tornato a casa nel Real Madrid, pronto chissà a diventare il nuovo Sergio Ramos, e Jorge Meré, passato l'anno scorso dallo Sporting Gijón al Colonia, dopo aver solamente sfiorato la Sampdoria. Il fiore all'occhiello sono i terzini, grazie a futuri fenomeni come i mancini Jose Gayá del Valencia e Aaron Caricol Martín dell'Espanyol (senza dimenticare Grimaldo, il sostituito di Ghoulam a Napoli) e i destronsi Pablo Maffeo, in prestito al Girona dal City, e Odriozola, esterno di spinta della Real Sociedad. 

Come spesso accade negli ultimi anni, è il centrocampo spagnolo a dare le maggiori soddisfazioni in termini di talento. I più forti sono senza ombra di dubbio i già celebri Marco Asensio, Dani Ceballos e Pablo Fornals - quest'ultimo fresco di trasferimento dal Malaga al Villareal per quindici milioni, ma evidentemente un tappa intermedia verso un grandissimo club, visto il potenziale sconfinato del classe '96 - seguiti a ruota da Aleix Garcia del City, Fabian Ruíz del Betis, Rodrigo Hernandez del Villareal e soprattutto Carlos Soler del Valencia, il cui futuro (e presente) risulta roseo e ricolmo di successi. 

È l'attacco, paradossalmente, quello più scarso di talento. L'ala del Sociedad, Mikel Oyarzabal, è del 1997, ma molti lo paragonano già al primo Cristiano Ronaldo. Spulciando l'under 19, due "Canterani" del Barcellona spiccano su tutti: Jordi Mboula, oggi al Monaco in Francia, e Carles Alena, il futuro quasi scontato del club blaugrana. 

Se questi sono gli auspici e se queste sono le armi di cui può disporre l'arsenale spagnolo, prepariamoci ad assistere all'instaurazione di una vera e propria dittatura spagnola.