Spesso sentiamo gli esperti – allenatori, ex calciatori – dire che sia il pallone a dover correre, ed anche veloce. Non necessariamente i giocatori in campo.

Sarà pure vero, se lo dicono loro, ma è altrettanto vero che non correndo non si creano i presupposti per avere/dare soluzioni di passaggio, tiro, cross. Il tiki taka di invenzione spagnola spesso porta risultati positivi perché, al giro palla viene abbinato grande spirito di abnegazione e corsa continua, alla ricerca di spazi e del recupero immediato del pallone.

Sarà un caso?

Potrebbe essere una coincidenza, ma nelle 20 partite stagionali sin qui disputate, l’Inter ha corso meno degli avversari solo di fronte ad Udinese, Sassuolo e Fiorentina nel match dello scorso fine settimana. Due sconfitte ed un pareggio generoso. Forse 20 partite sono un campione ancora troppo esiguo per determinare una teoria consolidata, ma probabilmente sufficiente per dire che la squadra di Spalletti abbia bisogno di correre più degli altri per avere maggiori probabilità di conseguire il bottino pieno. Quando ciò non avviene, il risultato è meno scontato.  Le caratteristiche dei singoli ed il sistema di gioco spingono la formazione a cercare la sovrapposizione e la superiorità numerica sulle fasce, il che implica un utilizzo maggiore di energie fisiche. Anche il pressing costante, a cui la squadra aveva abituato i propri tifosi, richiede uno sforzo non indifferente.

Problema di gambe... e di testa

Il giocatore intelligente è colui che riesce a gestire il proprio sforzo nell’arco dei minuti a sua disposizione, massimizzando il proprio impegno per il raggiungimento dell’obiettivo comune, ovvero la vittoria. Nell’Inter sono presenti molti giocatori generosi, ma pochi giocatori intelligenti. Il merito di Spalletti è stato quello di riuscire a far tirare fuori questa generosità, abbinata ad un po’ di orgoglio e spirito di attaccamento. A volte però questi attributi non bastano, ed è qui che si deve migliorare, o intervenire. Serve intelligenza tecnico/tattica. Serve creatività. Serve genialità. Il copione dell’Inter 2017/2018 è conosciuto, e per tutto il girone d’andata il gruppo lo ha recitato bene. Ora però anche gli avversari si sono abituati ad ascoltarlo, e lo interpretano anche meglio dell’Inter.

Capitano, mio Capitano

Da dove riprendere. Sicuramente dalla corsa. Dall’abnegazione. Dalle parole del capitano che, ad Inter TV ha detto: “Credo che questa non sia stata la nostra miglior prestazione, ci è mancato un po' di spirito e alla fine abbiamo subito il pareggio. Sinora abbiamo vinto tante partite, nell'ultimo mese ci è mancata un po' di personalità e di spirito di sacrificio: bisogna recuperare questi elementi a partire dagli allenamenti “. Chapeau al signor Nara che, tamarrate extracalcistiche a parte, sta iniziando a calarsi in maniera più idonea ad un ruolo che lo ha visto spesso leader tecnico silenzioso. Ora però è il momento di prendersi delle responsabilità, per non ripetere la sciagurata crisi della passata stagione.

L’altro capitano, Spalletti, il leader sommo, forse potrebbe cambiare il copione, anche solo per sorprendere gli avversari. Nel 4231 il trequartista è fondamentale. Tutti gli interpreti possibili sono stati provati in quella posizione. Nessuno ha soddisfatto pienamente. Che si prenda allora esempio dal collega livornese, che da 3 anni a questa parte ci ha abituato al rimescolamento sistematico, riuscendo però sempre a trovare la corretta alchimia, che ha sempre portato allo Scudetto. Gli esperimenti provati da Spalletti nella gara contro le proprie origini sono apprezzabili. La corsia portoghese era una scommessa “vincibile”. Sperare che Joao Mario riproponesse in maglia nerazzurra le prestazioni costanti e convincenti, nella stessa zona di campo, fatte vedere durante l’Europeo francese, era lecito. L’accentramento del numero dieci portoghese avrebbe potuto lasciare spazi invitanti al giovane collega lusitano. Gli effetti però non sono stati quelli sperati, anche se Joao Cancelo ha offerto una prestazione sufficientemente convincente.

Che si provi altro, nell’attesa che arrivi qualcuno in grado di colmare le carenze della rosa.