La tre giorni di coppe europee ha consegnato all'Italia calcistica un verdetto chiaro: le nostre squadre non sono all'altezza delle competizioni europee, o almeno così sembra. Le cinque squadre italiane impegnate in coppa hanno raccolto il misero ed esiguo bottino di tre sconfitte (Napoli, Atalanta e Lazio), un pareggio in casa (Juventus) e una vittoria (il Milan, con il modesto ma combattivo Ludogorets).

La Juventus di Allegri è uscita malconcia dall'incontro contro il Tottenham, cominciato con 10 minuti arrembanti, nei quali la squadra di Allegri era riuscita a piazzare un uno-due micidiale che, in campionato, avrebbe sancito la fine immediata della partita. Ma forse la Juventus dimentica troppo spesso che l'Europa non è l'Italia, e così la mentalità internazionale del Tottenham di Pochettino ha avuto la meglio sul più nazionalpopolare Allegri. Se la Juventus e il suo allenatore impareranno la lezione dell'andata potranno battere tranquillamente il Tottenham a Londra, ma serve un cambio di mentalità, una convinzione diversa del mister e del gruppo in Europa. 

L’Atalanta, tra le squadre sconfitte, è quella che ha dimostrato più carattere, perdendo onorevolmente a Dortmund solo nel finale, dopo aver messo più volte in difficoltà i rivali tedeschi, con molta più esperienza internazionale in campo e con molte più risorse economiche del club di Percassi che, grazie anche al grande lavoro di Giampiero Gasperini, potrà togliersi grandi soddisfazioni al ritorno, ambendo anche a qualcosa in più che i quarti di finale.

La Lazio è stata sfortunata, e ha perso per 1-0 nella trasferta contro la Steaua di Bucarest, che ha trovato il gol grazie a un contropiede dopo aver subito la squadra di Simone Inzaghi per quasi tutta la partita. La Lazio è scesa in campo con le seconde linee e ha sfiorato il gol in varie occasioni; il ritorno all’Olimpico dovrebbe garantire il passaggio del turno ai biancocelesti ma, in Europa, bisogna sempre rimanere vigili e concentrati. La partità di andata deve servire per comprendere la regola fondamentale per rimanere in coppa: chi si deconcentra paga, e a caro prezzo.

Il Napoli è la squadra che ha più deluso. Il titolo "dichiarato" di questo venerdì nero era già stato scritto, "Cronaca di un’uscita annunciata", dalla voce dello stesso Colonnello Sarri. Se l’allenatore partenopeo pensa di uscire dall’Europa League per vincere il campionato, perderà entrambi, e non avrà più “nessuno che gli scriva”, e che lo segua. Ieri sera contro il Lipsia, Sarri ha messo in campo la “mentalità perdente”, quella che umilia un pubblico intero e disonora la maglia, e la storia che da essa si eredita e che si dovrebbe trasmettere a chi oggi la indossa.

La “mentalità perdente” caratterizzava il Milan prima dell’arrivo di Gennaro Gattuso, e non permetteva alla squadra di considerarsi come un collettivo, capace di lottare come un gruppo unito per degli obiettivi comuni. Questa mentalità ti fa scendere in campo pensando che vincerai solo perchè indossi quella maglia, senza averci riflettuto mai, senza chiederti cosa implichi indossarla. Gennaro Gattuso ha ereditato una squadra stanca, depressa, demotivata e, in punta di piedi, l’ha rifondata, risvegliando nei singoli la “mentalità” che appartiene a quella maglia, ovvero alla storia del club, quella che fa cantare ai 500 tifosi giunti a Razgrad dopo un viaggio non certo agevole: “Forza lotta vincerai, non ti lasceremo mai”.

Il Milan ha onorato l’impegno europeo schierando la formazione titolare, non lesinando energie e cattiveria, sofferenza e sacrificio: tutte caratteristiche tipiche della mentalità di Gattuso, quella del Vecchio Milan, del Milan vincente, che lotta con ferocia contro qualsiasi avversario, grande o piccolo che sia, senza badare a conservare le forze, la mentalità che ha portato squadra e tifosi ad essere parte del club più titolato al mondo, risultato che si può raggiungere solo con una “mentalità vincente”, da contrapporre alla “mentalità perdente”, quella di chi crede di aver vinto il campionato, o la Champions League, già a metà febbraio, per poi ritrovarsi a maggio con il consueto, e avvilente epilogo di una fine già scritta.