Ho una stima profondissima per Antonio Conte. Ovviamente tutto parte da quel coro che ho cantato personalmente in curva per tanti anni: "Senza di te non andremo lontano, Antonio Conte nostro capitano!". Non posso, quindi, parlarne male o soltanto pensare di metterlo in discussione.

La sconfitta di ieri l'altro in Premier, però, ha evidenziato un limite troppo grande per essere annoverato tra i mister più grandi del mondo: Antonio riesce a resuscitare un ambiente perso. Più la situazione è disperata, più il suo lavoro fa effetto. Questo rispecchia il Conte calciatore, mediano dai piedi non educatissimi, ma con un'intelligenza tattica fuori dal comune e dal cuore ancora più grande. Dove non arrivava la qualità, arrivava la corsa; dove non arrivava quest'ultima, arrivava la sua anima di condottiero.

Questa descrizione rispecchia in pieno Antonio Conte. Sarà per questo che, al momento di sedersi sulle tavole da cento euro, lui non si senta a suo agio. I giocatori faticano a seguirlo. Dopo qualche anno della sua gestione, un giocatore si sente spossato dal suo essere martellante ventiquattr'ore su ventiquattro. Questo alla lunga logora e, non a caso, il suo ciclo è un po' alla Mourinho; due, tre anni, poi si deve necessariamente cambiare.

Il suo approdo in Premier ha enfatizzato questa caratteristica. Antonio si è trovato ad avere milioni su milioni; a poter prendere chiunque. Le sue scelte, però, sono sempre ricadute su giocatori mediocri, molto spesso strapagati: Zappacosta, l'ultimo Emerson Palmieri, Morata (giocatore fenomenale ma veramente strapagato), Drinkwater, Baba, Bakayoko. Tutti ottimi o buoni giocatori, ma da un budget di quasi 300 milioni mi sarei aspettato qualche campione in più e un certo numero di figurine in meno.

Sicuramente il mercato inglese è diverso da quello nostrano; i buoni giocatori della Premier, infatti, molto spesso raggiungono cifre spropositate. Cifre che però le società spendono volentieri, per foraggiare un mercato interno e non disperdere le finanze fuori dai confini nazionali. Non si deve, poi, tralasciare la sua poca attitudine a gestire i grandi campioni: è palese il caso Diego Costa. Anche nella sua esperienza alla Juventus, era indubbio che si trovasse più a suo agio con gente dal cuore grande che dal grande appeal e portafoglio.

Per il momento risulta un grande allenatore e motivatore, ma non ha dalla sua quella gestione delle risorse e del capitale umano propria dei vari Guardiola, Allegri e Ancelotti. Seguendo questo ragionamento, lo vedrei bene di nuovo in Nazionale: se c'è qualcuno che può fare il miracolo, è lui.